Lui e Lei erano il giorno e la notte, nel senso più vero del termine.
Lei, una bellissima vampira di antico lignaggio, che vagava pallida e solitaria alla luce della luna da infinite ere, così tante che il suo ultimo sole era al pari di una storiella per bambini, impercettibile cacciatrice d'anime tra le città degli uomini che predava senza possibilità di difesa..."la morte che scivola" la chiamavano da centinaia di vite i mortali sopravvissuti per puro caso ai suoi morsi.
Una maledizione con occhi color ghiaccio, capelli biondi lunghissimi e un viso vagamente "elfico", un corpo sinuoso sovrastato da un viso da lince, lnuda, leggiadra e terribile, una forma di vita perfetta tramutata in uno spietato felino.
Ma lei, profondamente erudita della storia del mondo, sapeva che anche la morte può morire, e l'ultima e prima della sua immonda genia non faceva eccezione.
Sentiva nelle sue membra un gelo che neanche il sapore del sangue placava, la sua pelle si faceva arida come la corteccia di un albero, i suoi istinti sempre più inconsistenti.
Lui era l'antico signore della terra, dimenticato da tutto e da tutti, ultima vestigia di una razza divina.
Viveva in quella foresta che esisteva prima di tutto, prima di tutte le creature viventi e senzienti, dove nemmeno la luce osava penetrare senza il permesso degli alberi, grossi e maestosi più delle torri degli uomini, che in confronto sembravano solo insignificanti.
Sdraiato come statua sulla rupe, dormendo, con le squame una volta di un blu lucente, ora grigie come la pietra, immobile il corpo, mente impegnata in problemi tanto complessi che la carne, il cibo, niente era più importante.
Niente a che vedere con le figure dei suoi simili raffigurati sugli stemmi, sugli scudi e sugli stendardi dei mortali, che mendacia mente si vantavano di averli sconfitti con il ferro e il veleno.
Nessun uomo poteva solo pensare di restare vivo allo sguardo della montagna vivente, con ali tanto grandi da oscurare il sole e artigli che sfidavano gli dei, se mai sono esistiti, ad affrontarlo.
Ma ormai nessuno richiedeva udienza per beneficiare della sua incommensurabile saggezza, o il suo fuoco per forgiare armi invincibili… nemmeno gli antichi nemici erano sopravvissuti.
Si incontrarono dopo il tramonto, per caso, gli ultimi due.
L'indecenza della mietitrice d'anime e la maestà di un antico dio dimenticato.
Lui dopo millenni aprì i suoi occhi, lei sorrise di disperazione.
Lei cercava il suo sangue per continuare ad esistere, Lui sapeva già tutto, e tutto era niente in confronto a lui.
Lei non poteva sperare di vincere, lui sapeva che era l'ultima.
La morte che scivola spiccò un salto, il drago si sollevò in aria con tutta la sua immensa mole vomitando fuoco, spiegando le ali, contraendo le membra.
Per un secondo la solitudine prevalse sugli antichi odi, sugli antichi rancori.
Quel secondo bastò a purificare la sua anima lurida in un torrente di fiamme, e a lui a concedere per l'ultima volta il suo prezioso sangue, con tutto il suo cuore infuso.
Rimase solo una donna che, immortale, camminava alla luce dell'alba mostrando al collo uno zaffiro incastonato in un artiglio d'oro bianco.
Rimasero loro, insieme.