Scusate per l'attesa
Capitolo 5
Vent’anni prima.
Il dottore ordinò assoluto riposo. Fortunatamente non era in uno stadio così avanzato della malattia e si sarebbe ripreso perfettamente nel giro di un paio di settimane. In quei giorni Dog stette solamente a letto, con in testa molte domande e poche risposte.
Del gruppo iniziale, erano rimasti solo lui ed il monco; quest'ultimo pregò quasi in ginocchio la donna di tenerlo e quella, alla fine, si decise dopo aver constato che, nonostante il suo handicap, Vas poteva svolgere alcuni compiti come badare al ragazzo, tenere pulita la casa o preparare da mangiare con discreti risultati. Diceva di aver imparato a cucinare al fronte, dove la sbobba dell’esercito era a malapena masticabile e spesso i soldati dovevano ingegnarsi con quello che trovavano di commestibile, per mettere sotto i denti qualcosa che non sapesse di stivali ammuffiti.
Com’era prevedibile, vista la sua ferita, il portamento ed il modo di parlare, Vas era stato un soldato.
«Sono un reduce della guerra delle Pianure di Korr». aveva detto una sera, mentre preparava una zuppa che si rivelò essere piuttosto saporita.
«Dopo che ho perso il braccio, fui riformato dall’esercito ed ho preso a vagare qua e là in giro per l’Impero. All'epoca bevevo molto e giocavo forte; in breve tempo fui sommerso di debiti e fu allora che venni venduto come schiavo. All'inizio non accettavo la mia condizione, ma presto ho imparato cosa significa vivere sotto il giogo di qualcuno, ragazzo».
Dog lo ascoltava attentamente: il monco aveva un modo di fare che gliel'aveva reso immediatamente simpatico.
«Dopo il primo, ho cambiato un paio di padroni, uno peggiore dell’altro credimi, ma alla fine mi ha acquistato quel bastardo di Treznak; nessuno vuole uno schiavo menomato e per questo son rimasto con quel porco per sei lunghi mesi, prima di incontrarvi».
Rimase in silenzio, poi il suo volto si dischiuse in un sorriso. «Mi sento fortunato ad essere capitato qui con voi. Sono di nuovo libero ora e non vi ringrazierò mai abbastanza».
Vas era un uomo dalla facile parlantina e dopo qualche giorno, aveva già iniziato a narrare storie di guerra, sopratutto di quando aveva partecipato all’assalto nella Valle di Skoing.
La donna, pur non sembrando particolarmente interessata a quei racconti, non interrompeva mai quel flusso di parole quasi incessante. Sembrava come se non avesse avuto occasione di parlare di sé per molto tempo e ora che ne aveva la possibilità, era come un fiume in piena.
Ciò rendeva sopportabile quel periodo di degenza, che il ragazzo era costretto a subire in quelle settimane, steso com’era sul letto.
Appena Dog ebbe forze sufficienti per poter camminare si misero in viaggio: da Thiasi si spostarono a Rogan, evitando accuratamente le strade principali, le pattuglie di soldati e i posti di guardia. Sembrava fossero in fuga da qualcosa. La donna non disse mai nulla, parlava poco e per lo più dava ordini, che Vas eseguiva solerte.
In quelle settimane quasi non aveva rivolto parola a Dog, lasciandolo praticamente solo assieme al reduce e con la mente confusa da quella nuova e straniante situazione.
A Rogan si sistemarono in periferia, in una casetta molto rustica costruita con grosse assi di legno non dipinte. Era un'abitazione spartana con una sala di medie dimensioni arredata con un focolare al centro, un tavolo sul lato sinistro e alcuni sgabelli. In fondo, di fronte alla porta principale, c'erano due camere da letto, una un po' più grande dell'altra, entrambe con un materasso di paglia e lenzuola di tela.
Dog e Vas dormivano assieme nella stanza più grande mentre Tya, così si chiamava la donna, in quella piccola. Lei usciva sempre molto presto, spesso prima dell’alba, e tornava la sera molto tardi, assente praticamente ad ogni pasto, mentre Vas si occupava della cucina e della pulizia di casa.
Andò avanti così per una settimana finché una notte Dog si svegliò di soprassalto a causa di uno spiffero e trovò quella strana donna a fissarlo, seduta nel buio di fronte a lui. Sembrava che vedesse o cercasse di vedere qualcosa nel suo volto, tanto l’osservava attentamente; rimase qualche secondo a guardarlo senza dire nulla, continuando a scrutare il volto del bambino. Poi, così com’era entrata, andò via in silenzio, lasciandolo lì sul letto.
Il giorno dopo quello strano evento, appena sorto il sole, Tya andò a svegliare il bambino e lo portò nel cortile retrostante la casa.
Lo osservò severamente senza dir nulla, mentre quello si stropicciava gli occhi con il palmo della mano, ancora intontito dal sonno.
Con un movimento fulmineo, estrasse un coltello da dietro la schiena e lo ferì sullo zigomo, provocandogli un profondo taglio da cui iniziò a sgorgare del sangue. Fu un’azione talmente rapida che Dog si accorse di averla subita solo alla fine, vedendo la donna che rimetteva nel fodero la lama. Un rivolo di sangue gli colò sulla guancia; lui non avvertiva dolore e cercò di toccarsi la ferita, stranito da quello che gli era appena successo. Tya gli bloccò le braccia, prendendolo per le spalle con le mani.
«Fai attenzione ora, concentrati! Cosa senti?»
Effettivamente sentiva qualcosa.
Al di là del sonno, che andava oramai sparendo, e alla sensazione di smarrimento che provava per via delle azioni di quella strana donna, sentiva una sorta di calore nel petto, una specie di grosso peso sul cuore che si irradiava in tutto il corpo. Era come se qualcuno, d’un tratto, gli avesse posato un ginocchio sul torace e ci si fosse caricato con tutto il peso del corpo; non percepiva alcun dolore però: era come un grumo di strana energia che aspettava solo di essere usata.
«Io… sento qualcosa…» disse indicandosi il petto.
Tya lasciò la presa e si allontanò di un paio di passi.
«Sei davvero figlio di tua madre».
«Mia… madre?»
Lei annui.
«Anche tu come lei sei un ematista».
«Ema… che?»
«Ematista, ragazzo, ematista».
Fece una pausa, passandosi una mano fra i lunghi capelli ramati, mentre il ragazzo inarcò le sopracciglia , con fare interrogativo.
«Ho riflettuto in questi giorni » disse «e immagino di doverti dare qualche spiegazione, visto che io e te trascorreremo molto tempo insieme. Voglio che mi dica la verità: come si chiamavano i tuoi genitori?»
«Theron Aberan era il nome di mio padre, mentre mia mamma si chiamava Lysaren Mares… »
Tya non sembrò granché sorpresa ed annuì nel sentire quei nomi.
«Sei il figlio di Lysa, si. Ti ho riconosciuto subito, sai? Hai i suoi occhi, la forma del suo viso…»
«Tu conoscevi la mamma?»
«In un'altra vita io e tua madre eravamo… amiche, si».
Nessuno dei due aggiunse nulla e il bambino appariva più confuso che mai.
«Ma chi sei tu?»
«Io mi chiamo Tyiadam e sono… beh sono l’unica cosa vicina ad una famiglia che ti rimanga al mondo».
Dog sembrò soppesare quelle parole.
«Ma tu… Come conoscevi mia madre?»
Tya ci rifletté per qualche secondo, poi rispose: «Diciamo solo che io e lei siamo state molto... Vicine un sacco di tempo fa e questo è quanto».
Il ragazzino guardò la donna aspettandosi che continuasse il suo racconto, ma quella non aggiunse nient’altro.
«Prima hai detto che sono un ematista… Cosa vuol dire?»
«Un ematista è… Potere. Noi abbiamo il potere di fare…beh molte cose utili».
«Che tipo di cose?»
«Te lo mostrerò a tempo debito ma prima lascia che ti racconti una storia che ti chiarirà un po’ più le idee. Siediti pure » disse, indicando una panca che si trovava appoggiata al muro della casa.
«Immagino tu sappia che ora ti trovi a Rogan, una città dell’Impero Fulgido. Ebbene, circa cinquecento anni fa l’Impero non era ancora nato ed era formato da tanti staterelli sparsi, in continua lotta fra loro, un po’ come sono i regni di Alek ora.
Ci fu un uomo però che ad un certo punto, riunì tutti i clan della sua terra d’origine ed unificò il continente. Si chiamava Uthor il Magnifico, anche se di magnifico non aveva proprio un bel niente: era un uomo rozzo e sanguinario che si impose con la forza e con il massacro sugli altri regni, per poi diventare imperatore e governare su tutto e tutti. Si narra che le sue armate fossero inarrestabili e che i suoi guerrieri potessero fare cose che nessuno poteva nemmeno sognare».
Vas apparve sulla soglia di casa con un secchio: come tutte le mattine, andava a prendere l’acqua dal pozzo nel cortile della casa. Accortosi di quello che stava succedendo non disse una parola ma si sedette accanto a Dog per ascoltare anche lui il racconto della donna.
«Passarono alla storia come “Le Duemila Furie”, i guerrieri scelti di Uthor che lo aiutarono ad unificare il continente. Duemila guerrieri. Un po’ pochi per unificare un posto così grande, vero? Eppure fu proprio così, i resoconti sono piuttosto precisi in merito: con solo duemila guerrieri, Uthor conquistò un luogo enorme, molto più vasto dei regni di Alek. Qualcosa di vero doveva pur esserci in quelle storie, giusto?»
Il ragazzo annuì, perplesso.
«Quei guerrieri erano Ematisti. Riuscivano a fare cose impossibili per i normali esseri umani: si dice che fossero immuni a qualsiasi arma, che potessero muoversi dieci volte più veloci di un uomo, che potessero volare ed altre cose piuttosto fantasiose, tipo sputare fiamme dalle mani, lampi dagli occhi e via discorrendo. In realtà, come sempre accade, la gente ci ha ricamato un po’ sopra con il passare del tempo; però ti assicuro che alcune di quelle storie sono dannatamente vere: quegli uomini potevano davvero fare la maggior parte delle cose che raccontano le leggende. Ma come riuscirono questi barbari ad ottenere un così incredibile potere? Uthor mise assieme i più grandi alchimisti del tempo e quelli riuscirono a creare una pozione che trasformava gli uomini in ematisti. Dopo aver ottenuto il suo esercito, si premurò di massacrare tutti quelli che avevano partecipato alla scoperta, assicurandosi in questo modo che nessun altro potesse mettere le mani su quella pozione miracolosa. In realtà pare che la formula non fosse proprio perfetta ma per ora lasciamo da parte questo aspetto della vicenda. Vas, mi andresti a prendere gentilmente dell’acqua? Grazie».
Il soldato si alzò senza dire nulla e fece come gli era stato chiesto, tornando dopo pochi minuti con una brocca e alcune coppe; versò l’acqua in una di esse e la porse a Tya che bevve a piccoli sorsi per poi riprendere il suo racconto.
«Cosa successe una volta che il continente fu unito? Uthor assunse il potere con il sangue e la guerra, fondando l’Impero Fulgido, lasciando tutto al figlio e avviando l'attuale dinastia imperiale. Cosa successe invece alle Furie? Quello che succede ai soldati in genere: dopo aver seminato bastardi in ogni città conquistata durante l'unificazione del paese, tra stupri durante i saccheggi e puttane, finita la guerra, vennero premiati con terre, ricchezze e matrimoni importanti. Ebbero figli legittimi e poi morirono, come accade presto o tardi a tutti gli esseri umani. Quello che nessuno poteva immaginare, né gli alchimisti, né tantomeno Uthor, era che la pozione oltre ad avergli donato dei poteri straordinari, era penetrata così in profondità nei loro corpi, da mutarne la fisiologia.
Le Furie ebbero discendenza e i poteri si trasmisero ai figli, sia che fossero partoriti da contadine, sia da nobildonne, di generazione in generazione, diluendosi nel corso dei secoli fino ad arrivare ad oggi, a te. Toccati lo zigomo e controlla».
Dog fece come gli era stato detto e non sentì nulla di strano; anzi non sentì proprio niente: dove doveva esserci la ferita la pelle era liscia, nessuna traccia del taglio che la donna gli aveva provocato, nessuna ferita, nessuna cicatrice. Controllò le dita e notò che erano ancora sporche di sangue oramai secco, sicuramente un rimasuglio di quello che gli era colato dallo zigomo. Non solo: il senso di pesantezza sul petto era sparito.
«Esatto, sei guarito ed è tutto merito del tuo sangue: tu, come tua madre e come me, sei il discendente alla lontana di una di quelle duemila Furie che, spargendo il loro seme in giro per il continente, diffusero anche gli ematisti nel mondo».
La donna, vedendo il volto stupefatto di Dog, si concesse un sorriso:
«Dì la verità: non trovi che tutto questo sia assolutamente eccitante?»