Ho camminato per centinaia di chilometri, ho lasciato un pezzo di me in ogni città in cui sono stato, anche se magari ero solo di passaggio o ci ho visto solo l'aeroporto.
Milano, Pisa, Torino, Bologna, Firenze, Bari. E poi Barcellona, Dublino, Francoforte, Londra. Ogni volta che vado in qualcuna di queste o in altre che non ho scritto, mi torna alla mente un pezzo della mia vita, un luogo, una persona.
Quante partite perdute che ho giocato. Quante mani balorde mi sono capitate fra le dita; eppure ho sempre giocato fino alla fine, anche a costo di rimanere in mutande, figurativamente e letteralmente.
Quindi un'altra sconfitta che sarà mai? Solo una cicatrice, un cerotto, l'ennesimo.
Riflettevo oggi, mentre camminavo da due ore nel centro di una città che avevo già vistato (era l'anno scorso, con degli amici venuti da Marostica, Lecco e Bologna), che quelli come me perdono sempre. E non è una forma di commiserazione, ne un tentativo di ricevere empatia: siamo destinati a perdere. Qualcosa, qualcuno.
Soprattutto quando dio o chi per lui (chiamatelo destino, se volete, io la chiamo sfiga), si mette a fare il birichino.
Abbiamo perso, tesoro.
Nessun lieto fine.
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