martedì 29 novembre 2016

Ogni tanto.

Uno dei miei hobby preferiti, è raccogliere informazioni di merda.
Sono un assiduo frequentatore gruppi Facebook di esaltati vari, che spaziano dai grillismi esaltati, agli sciachimisti, i nazivegan o gli animalari, le mamme incinte psicolabili o gli annunci di lavoro che rasentano la schiavitù; a volte vado anche a leggere i post di Salvini con relativi commenti o pagine di persone di spettacolo o politica di eguale "caratura" morale. 

Lo faccio perché mi incuriosisce e mi diverte sinceramente la stupidità umana. Mi diverte leggere le bestialità che alcune menti illuminate possono partorire, così come mi diverte leggere notizie di cronaca assurde, casi umani, storie di drammatica stupidità e cose del genere. È un mio hobby, non certamente continuativo, ma che mi regala alcune soddisfazioni e tante, tantissime risate. Internet è un posto bellissimo, proprio perché mi permette di scegliere come passare il mio tempo libero e, sì, io ci sguazzo. È come se surfassi con una tavola lungo una serie di onde composte esclusivamente di escrementi. 

Ho una collezione sterminata di screen rubati a pagine, blog, gruppi Facebook che ritraggono la follia, la tristezza, deficenza delle persone, una cartella grande centinaia di mega che sta lì, al calduccio nel mio hard disk e che ogni tanto mi diverto a sfogliare o a passare in giro fra gli amici, così, per farci due risate. Perché gli abissi a cui arrivano certe persone, sono difficilmente descrivibili se non li si legge in prima persona.

Normalmente, ripeto, la cosa mi diverte un sacco; ci sono però dei giorni o dei periodi in cui vengo decisamente sovrastato dalla merda, in cui le persone riescono ad essere così abiette da togliermi completamente fiducia nel genere umano. Leggo certi status, certi commenti e penso che, davvero, l'unica soluzione sarebbe quella di estinguerci in massa. Io per esempio spero in una apocalisse zombie, giusto per dare quel tocco di imprevedibilità alla cosa.
Comunque, dicevo: ci sono quei periodi in cui solo a leggere un commento a un post di Salvini mi viene il mal di stomaco, mi urta in modo così profondo che devo spegnere il pc e fumare una sigaretta.
In quei momenti mi costringo a pensare a qualcosa di bello; la gente non può davvero essere tutta così, anche solo per una questione statistica. Solo che a volte è davvero difficile pensare che ci sia qualcosa di salvabile in noi.
E allora ripenso a una storia che una cara amica mi raccontò tempo fa, su suo padre, suo nonno e su di lei.

Suo padre, quando era giovane, decise che voleva a tutti i costi comprarsi una moto, una Morini. L'aveva sognata da tempo e quindi passò un'intera estate a lavorare da un benzinaio, per poter raggranellare i soldi necessari per coronare quel suo desiderio. Finita l'estate, comprò la moto, ma questo evidentemente non andò molto giù ai suoi genitori.
Un giorno, neanche dopo troppo tempo, complice la sua assenza, suo padre prese la moto e la vendette a un suo paesano, per poi usare i soldi per fare i suoi (e di sua moglie) porci comodi.
Posso solo immaginare cosa provò il padre della mia amica quando si rese conto di cos'era successo.
Passarono gli anni e poi i decenni e questa storia la raccontarono più di una volta a lei e a suo fratello che, una volta divenuti adulti decisero di fare il più bel gesto che possa immaginare: raggranellati un po' di soldi e, complice il fatto che il fratello per un po' aggiustava moto d'epoca per vivere, proprio lui iniziò la ricerca del famoso Morini che passò di mano in mano a svariate persone (anche perché in Italia, per molti anni, non era esistito un registro che scrivesse i passaggi di proprietà), per poi finire, smontato e mezzo arrugginito, nella cantina di un qualche nipote di uno dei vecchi proprietari. Grazie alle sue conoscenze, il fratello ci mise un intero anno a raccogliere tutti i pezzi di ricambio originali, partecipando a raduni, fiere e chi più ne ha, più ne metta ma, alla fine, riuscirono a rimetterlo a posto e a farlo tornare nuovo fiammante, per poi regalarlo al loro genitore per il compleanno.

Ecco, quando sono particolarmente sfiduciato, ripenso a questa storia e penso che, a volte, non sempre per carità, anche noi esseri umani siamo capaci di fare qualcosa di buono e disinteressato, qualcosa che ci fa alzare la mattina ci fa essere, non dico orgogliosi, no, ma quantomeno positivi quando ci guardiamo allo specchio; e non saranno certo i Salvini, i grillismi o gli animalari a cancellare quel poco di bontà che ancora si può stillare dalla gente.

mercoledì 2 novembre 2016

Un altro splendido sabato sera.

Qualche tempo fa, era un normalissimo sabato di settembre.
Finisco di lavorare, scappo in macchina e corro a casa a ficcarmi sotto la doccia, per poi raggiungere i miei amici in tempo record, al solito bar.
Cocktail scoppiato in tre minuti netti e già la serata prende una piega che inizia a piacermi. Casualmente mi capita tra le mani uno sbruffaldone di quelli potenti, quelli che basta giusto il profumo per capire che si parla di cose di qualità e inizio a fumare; subito mi prende alla testa ma va tutto bene, è cosa buona e giusta e finalmente inizio a rilassarmi, dopo una serata passata a lavare piatti e, occasionalmente, cucinare.
Bono sto coso oh, son sempre più preso bene. Mi avvicino al bancone del bar e bofonchio qualcosa che potrebbe assomigliare a una richiesta di birra, che sento una certa secchezza alla gola.
Poi inizia piano piano.
C'è quel momento in cui ti stai godendo il relax, quell'esatto momento, lo zenith assoluto, in cui ti senti in pace con te stesso e col mondo ed io sono esattamente lì, placido.
Solo che piano piano mi accorgo che il relax inizia ad essere, paradossalmente, troppo.
La testa inzia a girare e mi sento CALDO, ma un CALDO DEL FOTTUTO INFERNO, tanto che comincio a sudare. Però non è che fa esattamente tutto 'sto caldo in strada e, non appena questo pensiero raggiunge il mio cervello oramai quasi completamente andato, ecco arrivare una vampata di freddo che mi fa tremare dalle punte dei capelli alle unghie dei piedi. Percepisco distintamente la pelle che perde colorito, mentre del sudore gelido mi cola sul viso e ogni tanto dei brividi di caldo mi fanno venire uno di quei mal di testa che ti prendono, attraversandoti il capo come uno stiletto  dal cervelletto, fino a dietro la pupilla.
Cristo se era buona sta roba.
Sento una fitta all'intestino, mi siedo, mi rialzo, inizio a sentirmi davvero, ma davvero male.
Altra fitta all'intestino.
Okay, devo cagare.
Per forza così.
Farla nel cesso del bar neanche se ne parla, perché sembra che la gente, nei bar, si diverta a pisciare ovunque tranne che dentro la tazza e oltre tutto non c'è la carta.
Le chiavi ce le ho, prendo la macchina e torno a casa.
Le fitte si fanno più forti, io pesto sull'acceleratore e, in questo stato di semi delirio, scanso due posti di blocco senza colpo ferire.
Arrivo a casa che mi tremano talmente le mani, da non riuscire a infilare le chiavi nella toppa. Mai stato così di merda - letteralmente parlando.
In qualche modo, riesco a tenere ferme le dita il tanto che basta da girare le chiavi nella serratura e aprire il portone. Butto via la giacca da qualche parte, le chiavi finiscono per terra appena varcata la soglia e mi fiondo in bagno come se mi stesse inseguendo Jason Voorhees in persona con un machete gocciolante di sangue. Slaccio la cintura, abbasso i pantaloni ed è il paradiso.
Subito mi sento bene, il cervello riprende immediatamente a ragionare, le sinapsi si collegano con i neuroni che a loro volta mandano gli impulsi elettrici giusti e i sudori passano prima della seconda scarica. Lì capisco che la pizza a cena non è stata una buona idea, per me che sono intollerante al lattosio.
Sto bene, sono in pace col mondo ora. Va tutto bene.

Mi allungo per prendere la carta igienica ma c'è qualcosa di strano: hoybò com'è che non ci arrivo?
Allungo ancora di più la mano, fino a che non afferro il rotolo mentre penso: "Ma cosa cazzo succede?"
Poi mi guardo attorno; volto la testa a sinistra e vedo la tazza, immacolata, intonsa. E lì tutto mi è finalmente chiaro: ho appena cagato nel bidet.

Dopo una sequela di bestemmie che farebbero impallidire satana, mi pulisco e cerco di raccapezzarmi con la montagna di merda formato tortilla che ho mollato nella tazza sbagliata.
Guanti, sgrassatore, varechina e mi sembra di essere tornato a quando facevo tirocinio in ospedale, quando pulivo merda per otto ore al giorno.
Me la prendo comoda proprio per fare un lavoro perfetto e alla fine lascio tutto immacolato.

Mi lavo le mani e a quel punto mi accorgo che, vabè, mi è venuta fame. Guardo l'ora: l'una e un quarto. Sono stato via quarantacinque minuti però e se tornando mi fermo dal kebabbaro, sicuro come l'attacco di merda che ho appena rilasciato nel mondo, ci metto un'altra mezzora. Troppo.
Apro il frigo e tiro fuori un pezzo di salsiccia secca. La spello, agguanto un pezzo di pane ed ecco il mio spuntino notturno.
Recupero giacca e chiavi, risalgo in macchina e mi metto in marcia per tornare dagli altri.
Dò un secondo morso al pane e alla salsiccia e, mentre sto masticando, sento un CRUNK provenire dal lato sinistro della bocca. Nessun dolore, solo quell'orribile schiocco che mi rimbomba ancora nel cervello.
Inghiotto il boccone e con la lingua inizio a controllare che sia tutto a posto; è a quel punto che mi accorgo che ho un dente che si è appena spaccato esattamente a metà, longitudinalmente.
Finisco di mangiare tra una bestemmia e l'altra e raggiungo i miei amici.

Finiremo la serata a recuperare gente ubriaca che scappa in pineta, mentre altra gente la insegue urlando e bestemmiando; gente ubriaca che non riesce a fare tre passi senza cadere a culo a terra o a sbattersi contro le aiuole e gente con fame alcolica che vuol mangiare kebab alle sei del mattino, come colazione.

Non è che un altro splendido sabato sera.

domenica 16 ottobre 2016

Una volta ho catturato il vento. Ci sono riuscito, davvero. L'ho catturato. Era mio. Lo sentivo fra le dita, libero e selvaggio. E' stata una gioia incredibile riuscire a tenere il vento fra le mani, sentire tutte le sfumature del suo calore, della sua forza, del suo essere imprendibile.
Ma il vento non si può catturare. Hai solo l'impressione di averlo con te, quando invece continua a sfuggirti ed è questo che mi è successo: mi è sfuggito. L'avevo preso o almeno credevo di averlo fatto ed invece eccolo li, sempre libero e selvaggio, che m'è danzato davanti e poi è scappato via, come sempre. Perchè il vento non lo puoi contenere, puoi solo avere la sensazione di averlo preso; magari ne senti il calore fra le dita, la sensazione di benessere fra i polpastrelli ma poi scappa sempre via verso altri lidi, altri orizzonti. Il vento è libero, è selvaggio; forse può fermarsi da te per un pò ma poi se ne andrà nuovamente, perchè è quella la sua natura. E' fatto così, il vento, non lo puoi mica contenere o imprigionare o tenere con te. Forse puoi avere la sensazione di averlo fra le mani, ma non è così, perchè per sua stessa natura il vento rifugge dalle prigioni e vuole essere sempre libero e selvaggio.
E' imprendibile, imperscrutabile nella sua caoticità.

Perchè è semplicemente il vento. E per quanto tu possa combattere per averlo con te, esso non sarà mai tuo; perchè lui è così, sfuggevole.

E' che per un po' mi sono illuso di avere catturato il vento, ma in realtà era il vento che aveva catturato me.

lunedì 6 giugno 2016

E. #2


Ho sempre odiato questo libro, per una serie di ragioni che si sono un po' perse nella mia memoria (una che ricordo però, è che ce lo fecero leggere per forza quando frequentavo gli scout (true story) e a me, m'è sempre sembrato un libro odioso, anche quando ero piccolo) e anche ripreso in mano più volte, l'ho sempre trovato piuttosto stucchevole. Però c'è sempre stato un passo che, nonostante tutto, ho amato e che, ancora adesso, trovo sia davvero perfetto nella sua interezza, perché descrive perfettamente i rapporti, d'amore e di amicizia. Non so spiegarlo molto bene, probabilmente neanche voglio farlo, ma sono sicuro che a chi ho parlato di queste cose, capirà da solo.

"Bisogna essere molto pazienti", rispose la volpe. "In principio tu ti sederai un po' lontano da me, cosi', nell'erba. Io ti guardero' con la coda dell'occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po' piu' vicino..."
Il piccolo principe ritorno' l'indomani.
"Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora", disse la volpe.
"Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincero' ad essere felice. Col passare dell'ora aumentera' la mia felicita'. Quando saranno le quattro, incomincero' ad agitarmi e ad inquietarmi; scopriro' il prezzo della felicita'! Ma se tu vieni non si sa quando, io non sapro' mai a che ora prepararmi il cuore... Ci vogliono i riti".
"Che cos'e' un rito?" disse il piccolo principe.
"Anche questa e' una cosa da tempo dimenticata", disse la volpe. "E' quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un'ora dalle altre ore. C'e' un rito, per esempio, presso i miei cacciatori. Il giovedi ballano con le ragazze del villaggio. Allora il giovedi e' un giorno meraviglioso! Io mi spingo sino alla vigna. Se i cacciatori ballassero in un giorno qualsiasi, i giorni si assomiglierebbero tutti, e non avrei mai vacanza".
Cosi' il piccolo principe addomestico' la volpe.
E quando l'ora della partenza fu vicina:
"Ah!" disse la volpe, "... piangero'".
"La colpa e' tua", disse il piccolo principe, "io, non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi..."
"E' vero", disse la volpe.
"Ma piangerai!" disse il piccolo principe.
"E' certo", disse la volpe.
"Ma allora che ci guadagni?"
"Ci guadagno", disse la volpe, "il colore del grano".
Poi soggiunse:
"Va' a rivedere le rose. Capirai che la tua e' unica al mondo. Quando ritornerai a dirmi addio, ti regalero' un segreto".
Il piccolo principe se ne ando' a rivedere le rose.
"Voi non siete per niente simili alla mia rosa, voi non siete ancora niente", disse. "Nessuno vi ha addomesticato, e voi non avete addomesticato nessuno. Voi siete come era la mia volpe. Non era che una volpe uguale a centomila altre. Ma ne ho fatto il mio amico ed ora e' per me unica al mondo".
E le rose erano a disagio.
"Voi siete belle, ma siete vuote", disse ancora. "Non si puo' morire per voi. Certamente, un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, e' piu' importante di tutte voi, perche' e' lei che ho innaffiata. Perche' e' lei che ho messa sotto la campana di vetro. Perche' e' lei che ho riparata col paravento. Perche' su di lei ho uccisi i bruchi (salvo i due o tre per le farfalle). Perche' e' lei che ho ascoltato lamentarsi o vantarsi, o anche qualche volta tacere. Perche' e' la mia rosa".
E ritorno' dalla volpe.
"Addio", disse.
"Addio", disse la volpe. "Ecco il mio segreto. E' molto semplice: non si vede bene che col cuore. L'essenziale e' invisibile agli occhi".
"L'essenziale e' invisibile agli occhi", ripete' il piccolo principe, per ricordarselo.
"E' il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa cosi' importante".
"E' il tempo che ho perduto per la mia rosa..." sussurro' il piccolo principe per ricordarselo.
"Gli uomini hanno dimenticato questa verita'. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa..."
"Io sono responsabile della mia rosa..." ripete' il piccolo principe per ricordarselo.

sabato 4 giugno 2016

E.

Gli After hanno fatto canzoni migliori, ma anche quando sono sottotono, riescono sempre a parlare delle cose giuste, nel periodo giusto.



Afterhours - Non voglio ritrovare il tuo nome

Scava sotto i buoni c'è un cadavere
sotto ai cattivi un angelo
ucciso da un'idea

Dicevi che la gente ha ciò che merita
e tu eri mia
noi soli non
saremmo morti mai

L'ho nascosto dentro me
così bene in fondo a me
che la vedo la tua luce, sai
ma non riesco a ritrovare il tuo nome

Occhi blu
non respiri più con me
occhi blu
io non ero come te

Ma non riesci ad esser mai
davvero quel che vuoi
la vedo la tua luce, sai?
La vedo la tua luce, sai?
Ma non riesco a ritrovare il tuo nome

Un uomo può distinguersi da un'ombra
se cerca di esser sempre causa
di quel che gli accadrà

E per te io volevo
diventare un uomo
farti ridere
ma ti ho odiato
quando sei andata via

Ti nascondo dentro me
per non ritrovarti più
la vedo la tua luce, sai?
Ma non voglio ritrovare il tuo nome

Occhi blu
tu non eri come me
non sei tu
che respiri su di me

La tua intelligenza non ti lascia sola mai
dimentichi il sapore, sai
dimentichi la voce
ma lo sai che è stato meglio così

Occhi blu
tu non eri come me
non sei tu
chi respira su di me

Vedevo la tua luce, sai
come dentro un incantesimo
vedevo la tua luce, sai
ma ho fatto un incantesimo
e tutto a un tratto non ci sei più

lunedì 16 maggio 2016

Un po' di storia

Gli Skinhead nascono negli anni 60, in Inghilterra; sono una derivazione dei Mods e dei Rude e nascono come movimento apolitico e non gerarchizzato. Ascoltano musica giamaicana (come i Rude) e vestono con un look ben preciso (come i Mods): stivali anfibi, Polo Fred Perry e testa rasata.
Sono la classe proletaria, i lavoratori delle fabbriche, che vanno in giro in Lambretta o in Vespa ma non hanno una chiara identità politica, perseguendo solamente una generale opposizione all'oppressione della classe dirigente.

Gli Skinhead sono ribelli, sono liberi e sono contestatori; vivono in strada, spesso nel ghetto, conoscono quella realtà e di quella si occupano e si preoccupano; sono lavoratori che pensano ai diritti della loro classe, non si interessano di politica e non vanno a votare. Fanno lavori umili per di sbarcare il lunario ma non si vergognano delle loro origini, anzi le ostentano portando anche nella vita di tutti i giorni la divisa da lavoro (gli anfibi ed i capelli corti che venivano rasati per questioni igeniche). E non tutti sanno che essendo i primi Skins di derivazione Rude, erano anche neri.
Come nella migliore tradizione proletaria inglese, sono orgogliosi ed incazzati ma non necessariamente criminali: sono fieri di essere proletari e fieri di essere operai.

La politica nel movimento Skin entra di forza attorno alla fine degli anni 70 col nascere del movimento punk: gli Skinhead, che prima ascoltavano Ska e Reggae fanno propria la musica Punk, la contestazione, fanno entrare l'Anarchia nelle loro vite come ideologia, come ideale. Di derivazione Punk è appunto lo Street Punk, il genere musicale che viene ascoltato dagli Skin del '77: è musica incazzata e veloce fatta di riff semplici che a volte sfociano nell'Hard-core. E' uno stile grezzo, di strada appunto. Gli Skin fanno proprio le idee del movimento Punk di contestazione e le trasferiscono nel loro habitat di sempre: la strada.
Gli Skins si amalgamano così bene con i Punks che spesso i due movimenti si fondono assieme: Skin & Punk è il motto che viene fuori da molti gruppi non solo musicali, a cavallo tra la fine degli anni 70 e l'inizio degli 80. Al fianco dello Street si sviluppa un nuovo sottogenere del Punk detto Oi!, che rappresenta la fusione fra Punk e Skin: è musica rozza e popolare, di chiara derivazione Punk (che già di per se è semplice ed immediata), con cori da stadio nei ritornelli, e riff di chitarra molto semplici.

Come il Punk anche il movimento Skin varca i confini inglesi e si sviluppa durante gli anni 80 in Europa e nel mondo.
In Germania gli Skins sviluppano, al fianco del movimento Street ed Oi!, una nuova branca che, a parte l'abbigliamento, condivide molto poco con i colleghi britannici: sulla strada non si impara più la sopravvivenza, ma si promuovono idee illiberali e filo-naziste. Gli Skin tedeschi iniziano ad abbracciare la sottocultura nazista, portandola sulla strada e negli stadi.
Contemporaneamente, in Inghilterra, movimenti politici di estrema destra iniziano ad interessarsi ai giovani, promuovendo le loro idee anche sulla strada: nascono così gli Skin88, che fanno proprie le idee di supremazia della razza bianca e dell'antisemitismo, richiamando idee naziste.

In Italia il movimento Skin si sviluppa in maniera genuina per tutti gli anni 80, con il diffondersi della musica Punk. Il movimento segue pressapoco la strada tracciata dai colleghi Inglesi e per tutti gli anni 80, gli Skins sono amalgamati con i Punks e ben pochi sono gli Skin di derivazione filo-nazista.
Verso la fine degli anni 80 gli Skin italiani abbracciano una nuova passione, ovvero il calcio: il movimento Skinhead viene confuso dai media e dalla stampa italica con gli Ultras (che di Skin, a parte la testa rasata non hanno nulla) e diventa sinonimo di fascismo e del più bieco tifo da stadio. Lo Skin88 sbarca anche nella penisola e nascono i Naziskin anche in Italia; si contraddistinguono dai normali Skin per l'uso della mimetica (capo sconosciuto fino ad ora) e per la rasatura "a pelle" dei capelli.
I media ovviamente non si interessano delle distinzioni fra quelli che sono due gruppi che, a parte la testa rasata, non hanno punti di contatto e stigmatizzano tutto il movimento Skin, mettendo tutto in un unico calderone e facendo una gran confusione. Gli Skin diventano per tutti Naziskin, violenti, razzisti e xenofobi, che occupano le pagine dei giornali con le loro imprese negli stadi.

Il movimento degli Skin88 è forte e continua a diffondersi in tutta Europa dalla fine degli anni '80 e per tutti gli anni '90, sbarcando anche negli Stati Uniti dove è tuttora una potente organizzazione ben strutturata e gerarchizzata.
Questa progressiva espansione del fenomeno Nazi in America, preoccupa molto quelli che hanno abbracciato lo stile di vita Skin partendo dal movimento Inglese. Quasi contemporaneamente lo sbarco dei Naziskin in America infatti, proprio per contrastarne la diffusione, all'inizio degli anni '90 a New York nasce lo SHARP (Skin Head Against Racial Prejudice): è una organizzazione che trae ispirazione dagli Skinhead originali inglesi degli anni 60, che riunisce gli Skinhead di ogni colore con idee dichiaratamente antirazziste e non schierati politicamente; un ritorno alle origini insomma.
In America lo SHARP è distante da qualsiasi ideologia sia di destra che di sinistra, accogliendo fra le proprie fila coloro che sono dichiaratamente antirazzisti.

In Europa il movimento SHARP trova invece terreno fertile fra i movimenti di sinistra e da una sua costola nasce il RASH (Red and Anarchist Skin Head); il RASH incarna gli ideali comunisti ed anarchici, facendo propria l'idea dell'emancipazione socio-economica del proletario; Comunismo ed Anarchia vengono quindi considerate le uniche ideologie della classe operaia. Il RASH fa dei principi dell'antifascismo, dell'antirazzismo e dell'anticapitalismo le sue bandiere ed i suoi militanti dichiarano di credere nei principi di solidarietà, uguaglianza e libertà che sono anche il significato delle tre frecce presenti nel simbolo dell'organizzazione.

Al contrario degli Skin88, SHARP e RASH sono dei gruppi non strutturati che non fanno da "braccio armato" o da milizia a nessun partito politico. I due Network non hanno alcun rapporto con la partitocrazia parlamentare, sebbene alcuni singoli membri militino sia nella Rash che in partiti di estrema sinistra.

Perché vi ho raccontato tutto questo?
Per fare chiarezza.
Da qualche tempo frange di Skin88 stanno proliferando in Italia, supportate da un governo che promuove l'illegalità e l'odio razziale.
Però c'è da mettere i puntini sulle i: come avete letto i Naziskin non sono altro che una scopiazzatura mal riuscita del movimento originale degli Skinhead, che nulla aveva (o ha) a che fare con il nazismo e la supremazia ariana, essendo infatti un movimento apolitico e composto anche da persone di colore.
Tutta la storia del simbolismo Nazista è purtroppo costellata di furti ideologici: partendo dalla croce celtica fino ad  arrivare alle teste rasate; e non mi stupisce perché i nazisti non hanno mai fatto altro nella loro storia se non copiare le cose pensate da altri, stravolgendone il significato.
Ed è sentendo ciò che dicono i giornali e la stampa disinformata che mi sono sentito in dovere di fare questa lunga precisazione sugli Skinhead.
Forse a ben pochi interesserà questo bel popò di informazioni che ho scritto, ma va bene comunque così.

lunedì 22 febbraio 2016

La mia su: Star Wars - Il Risveglio della Forza

Ho visto ben due volte questo film, a distanza ravvicinata in quel di dicembre e le mie impressioni si riconfermano (occhio agli SPOILERS): se ad una prima visione
I personaggi nuovi funzionano. Rey spacca i culi ed è agile e carismatica come una cerbiatta, il ruolo della protagonista le calza a pennello, pur con tutti i difetti di sceneggiatura (che impari la forza in 30 secondi netti è una delle cose che stonano di più nel film).
Boyega un grandissimo: calato in un personaggio decisamente originale (per la saga) dà il meglio di sè. Un po' soldato, un po' cazzone, un po' eroe, un po' pavido, molto umano. Davvero un gran personaggio quello che gli hanno cucito addosso.
Kylo Ren all'inizio non mi aveva entusiasmato: troppo bimbominkia, con quel faccione pulito da minchiazza, non so, aveva qualcosa di sbagliato. Eppure è un cattivo originale e si vede che si sono sforzati di fare qualcosa di diverso, cercando di non discostarsi dalla tradizione. È un ragazzino arrogante e viziato e il film non fa nulla per nascondercelo. Stona davvero molto che venga preso a spadate da rey sul finale (lui addestrato da Luke e da Snook che le prende da una che impugna la prima volta una spada, è davvero una forzatura troppo evidente). Eppure è un personaggio che lavorando di sottrazione al carisma, risulta veramente interessante. Le scene nella foresta in cui si sente prima il rumore dello spadone che si accende (una spada esagerata e sboronissima, perfetta per quel tipo di personaggio) poi appare lui all'improvviso, trasudano epicità e carisma a fiotti. Il fatto che sotto la maschera non abbia cicatrici deturpanti è di per sé una gran bel colpo di scena (sono stronzo perché sì, non perché mi è capitato l'incidente).
BB8 è -davvero- adorabile. Io che ho sempre odiato i droidi di SW, devo proprio ammettere che il robottino è perfetto, anche più dei vecchi, odiosissimi droidi.
Po è un personaggio ancora acerbo: la sua presenza sul set è coincide con l'assenza di Han Solo e viceversa, il che è un male perchè potrebbe essere un bel personaggio, ma viene decisamente offuscato dalla presenza del suo charachter di riferimento. Peccato, insomma.
Infine la morte di Solo doveva esserci e doveva essere in questo film; Ford si stava mangiando tutto e levarlo di mezzo è la scelta saggia per dedicarsi ai nuovi personaggi come si conviene.
Altre cose che stonano, sono effettivamente la ricalcata della trama di Ep. IV (a volte PIU' GROSSO non vuol dire migliore) e altre piccolezze, ma tutto sommato ci siamo. Questo film mi ha dato l'idea di voler tracciare un solco netto con il passato, JJ che dice "Bene ragazzi, a voi vecchi quarantenni abbiamo dato quello che potevamo, vi abbiamo coccolato con le strizzatine d'occhio ed il fanservice, ora però vogliamo raccontare la nostra storia con i nuovi personaggi che, dai, vi son piaciuti". Se davvero l'intento era questo, dieci e lode.
Per Ep. VIII mi aspetto grandi cose.
ero a metà tra l'esaltato ed il perplesso, la seconda mi ha lasciato più esaltato che perplesso. Non è decisamente un film perfetto, ci sono delle cose che potevano essere strutturate meglio, altre che avrebbero dovuto essere totalmente riviste, altre che sono una figata senza se e senza ma.
PS: che peccato non aver visto Iko Uwais e Mad Dog menare calci acrobatici. Davvero.
E ancora non capisco lo spreco di un attore come Max von Sydow.

giovedì 18 febbraio 2016

La mia su: Straight Outta Compton

Ho visto, l'altra sera Straight Outta Compton e, oltre ad avermi lasciato la fotta di ascoltare gangsta rap, mi ha piuttosto deluso.
Non ho mai ascoltato quel genere musicale, ma conosco più o meno il periodo in cui è ambientato il film, il quale, alla fin fine, non è che una specie di agiografia su Ice Cube, Dr Dre e Eazy-E.
Ha tanti difetti, Straight Outta Compton, e pochissimi pregi (una bella colonna sonora, per esempio, ma non ci voleva molto); fra i primi, il più grosso, è non far capire assolutamente cosa significava, alla fine degli anni 80, vivere a Compton, Los Angeles. I NWA, nel bene o nel male, sono stati una band generazionale anche per chi, come me, non li ha mai propriamente ascoltati ma ha vissuto quel periodo e che li conosceva di nome; che ha visto il pestaggio di Rodney King al tg e che ha vissuto le sommosse popolari di Los Angeles.
Nel film si fanno dei vaghi accenni, ma questo è quanto: si preferisce piuttosto soffermarsi sull'epica dei suoi protagonisti (che la realtà ci ha insegnato a non essere per nulla "epici"), tralasciando tutti i risvolti sia politici del periodo, sia quelli "sporchi" dei suoi protagonisti.
L'unica cosa che mi viene da dire, ripensando al film, è un "che peccato".

lunedì 1 febbraio 2016

Giveaway: Mille e un Libro

Scritto nel Sangue partecipa al giveaway lanciato da Mille e un libro! Nel caso siate curiosi, QUI trovate la recensione di Scritto nel Sangue fatta da quella gentilissima persona che è Ilaria, mentre cliccando sull'immagine sotto, troverete le modalità per partecipare al Giveaway!
In bocca al lupo al vincitore!

http://imilleeunlibro.blogspot.it/2016/01/e-sono-4-buon-compleanno-mille-e-un.html

lunedì 25 gennaio 2016

La mia su: Revenant - Redivivo

Cosa si può dire di questo film a parte “bella la fotografia”? Nulla.  Davvero, eh.
Ci sono dei virtusiosismi, il film ne è infarcito, che non sono al servizio della storia, dei personaggi o degli spettatori (come, per esempio, accadeva in quel film là con le macchine, sempre con Tom Hardy), ma che sono ad uso e consumo del regista. E non c’entra il fatto che già il libro avesse una storia semplice (ma non scarna come il film) e che il film, con il libro, non c’entra assolutamente nulla (a partire dall’ambientazione: quasi esclusivamente d’estate il secondo, d’inverno il primo): questo film è vuoto. Ma di quel vuoto pneumatico che ti fa essere distaccato, di cui ti importa più di “come ha girato quella scena?” piuttosto che “ma come se la caverà ora il personaggio?”.
Girato benissimo, per carità. Fotografato ottimamente.
Ma la storia? I personaggi? Dov’è il cuore del film?
A me Birdman non era piaciuto, ma almeno lì c’era un messaggio di fondo, qualcosa che la pellicola ti voleva e in un certo qual modo, riusciva a trasmetterti (per quanto il messaggio fosse insopportabile nella sua infinita spocchia).
Qui no.
Qui c’è puro esercizio di stile fine a sé stesso, senza nient’altro che l’ego di Iñárritu a sostenerlo.
Oh certo, si prova a fare LA POESIA, si sfiorano I GRANDI TEMI di cui la filmografia del regista è infarcita, ma sono, ancora una volta, vuoti e al contempo spocchiosi; non lasciano nulla, non dicono nulla. Sembrano messi lì solo perché era quello che ci si aspettava, non sono ne approfonditi, ne interessanti; solo pretenziosi.
Il che è un peccato, perché con un (bel) po’ di spocchia in meno, sarebbe venuto fuori un gioiello; ma, stando così le cose, è come vedere un ottimo piano sequenza o un’ottima fotografia, dentro il filmino delle vacanze di quella zia insopportabile che ti costringe a vedere cosa ha girato quando è andata in egitto a vedere i faraoni e di cui, in sostanza, non ti importa nulla.
Il problema fondamentale di The Revenant è che a ogni inquadratura si sente vivida la voce di Iñárritu che dice «Dio quanto sono figo! Dio quanto merito l’Oscar!»

Corollario: allo stato attuale, ci sono davvero pochi registi che disprezzo quanto Iñárritu e nessuno di più.