martedì 27 maggio 2014

Scritto nel Sangue - Capitolo 2

Capitolo 2.
Vent’anni prima.


Il mercato di Thiasi stava oramai per chiudere.
Treznak Urren si passò un fazzoletto sudicio sulla fronte. Faceva caldo, ma era anche piuttosto nervoso: il suo ultimo carico non era andato bene e di tutti gli schiavi che aveva raccattato nelle Pianure, ben pochi erano sopravvissuti al viaggio. Tutto per colpa della Febbre Rossa, che aveva contagiato buona parte del carico. Doveva esserci qualcuno, fra quei pidocchiosi nel carro, che l’aveva contratta chissà come e lui, dannazione a tutti gli dei, non se n’era accorto. Aveva perso la maggior parte dei suoi schiavi e ben due guardie del corpo, che l’avevano servito per molti anni.
« Una sventura così, non mi era mai capitata, in quindici anni che faccio questo lavoro » borbottava oramai da due giorni.
Cosa gli era rimasto? Uno schiavo senza un braccio, probabilmente un reduce, che gli avevano appioppato assieme a un lotto di una ventina di bambini, probabilmente orfani di guerra, di cui la metà era già morta per la febbre; un vecchio sdentato con la barba tutta spelacchiata e un ragazzo di quindici anni, con i sintomi evidenti di crisi d’astinenza da chissà quale droga.
Certo, la guerra portava buoni affari, sempre che una dannatissima febbre non ci si mettesse di mezzo. Ovunque andasse, c’era una madre che vendeva uno o due figli per un tozzo di pane, qualche bambino che vagava per le Pianure solo al mondo o qualche reduce, troppo ubriaco o drogato, per rendersi conto di quello che gli succedeva attorno.
« Però, quella dannatissima Febbre Rossa! »
Sospirò,a metà tra l'esasperato e lo speranzoso.
Sperava di vendere il lotto completo dei bambini rimasti; aveva messo quelli che tossivano in seconda fila, sperando che nessuno se ne accorgesse e li aveva minacciati tutti con la frusta per farli stare buoni.

Si avvicinò al banco una signora, una gran bellezza: sulla trentina, con capelli ramati, il viso ovale e gli occhi verdi. Impugnava un ombrellino per proteggere dal sole la sua pelle bianchissima ed era vestita con un abito di seta, che non avrebbe sfigurato alla corte di Re Othar. “Una nobile” pensò Treznak senza esitazioni.
La osservò, notando una cosa curiosa: era sola. Nessun servitore, nessun marito, nessuno schiavo al seguito.

Treznak iniziò a ronzarle attorno, come una mosca attorno ad un vasetto di miele aperto.
« Gentilissima signora, posso esserle d’aiuto? Guardi qua, merce di prima qualità a ottimi prezzi, parola di Treznak Urren! »
La donna guardò Treznak come si osserva un insetto disgustoso, ma non disse nulla. Si portò un fazzoletto sulla bocca e si avvicinò alla prima fila di bambini.
« Questi vengono dritti dritti dalle Pianure, merce di prima qualità glielo assicuro! Guardi, hanno ancora tutti i denti. Controlli, controlli pure! »
Ovviamente, i bambini ammalati di Febbre li aveva messi tutti in seconda fila, sperando che ci si accorgesse dell’inganno solo una volta comprato tutto il lotto. A quel punto, Treznak sarebbe stato già molto, molto lontano.
La donna allungò la sua mano guantata, spostando malamente un paio di bambini spaventati e afferrò per le guance uno di quelli in seconda fila, facendogli aprire la bocca. La ispezionò per bene e vide che mancavano due denti, poi gli controllò gli occhi, che avevano una sfumatura rossa nella sclera, tipica dei primi stadi della malattia.
Dopo averlo ispezionato per alcuni minuti, ritirò la sua mano, mentre lo schiavo iniziava a tossire.
« Quanto vuoi? » chiese con tono rude.
« Signora mia, per lei un prezzo di favore! Per tutto il lotto, chiedo solamente diecimila pezzi di stagno, sull’unghia! Mi sto rovinando, glielo giuro! »
La donna guardò il mercante severamente.
« Non tutto il lotto, solo lui.» disse, indicando il bambino che aveva appena ispezionato.
« No, signora mia, no. Qui vendiamo tutto in blocco, non posso certo venderle solo uno schiavo! Poi mi diventerebbero spaiati, e come faccio? No no, devo venderli tutti assieme, mi spiace. »
La donna sbuffò, con evidente disappunto.
« Va bene, allora » rispose lei. « Diecimila però sono troppi. Quasi tutti sono malati e alcuni stanno per lasciarci la pelle. Tremila mi sembra un prezzo più onesto. »
« Tremila! Ma voi mi volete rovinare, signora mia! Facciamo ottomila e non se ne parla più, ci sto andando pure sotto! »
La donna lo guardò freddamente. « Quattromila, è la mia ultima offerta per tutti. E aggiungi quello senza un braccio. »
Treznak sospirò con la sua migliore faccia afflitta anche se, intimamente, il suo cuore urlava di gioia: nonostante tutto, era riuscito a recuperare i costi e non si poteva chiedere di più, dopo tutta quella sfortuna.
Tirò fuori il contratto di proprietà, in modo che la donna potesse firmarlo e aspettò il pagamento, che avvenne subito, quando la donna tirò fuori dal borsello quattro monete d’oro, che era la somma pattuita.
Si accordarono per la consegna da lì a due ore, in una casetta fuori città.

Nel cortile della casa, una piccola e anonima costruzione di legno e pietra, la donna mise in fila i suoi schiavi e li guardò tutti, uno per uno, fermandosi infine su quello senza un braccio.
« Tu, come ti chiami? »
« Vas, signora »
« Va bene, Vas. Ti darò cinquanta pezzi di rame: compra cibo e dei vestiti per tutti. E trovami un dottore, in fretta. »
Vas rimase un po’ interdetto, mentre la donna gli allungava il borsellino con le monete.
« Che aspetti? Forza, muoviti! »
L'uomo prese il borsello e sparì velocemente.
« Adesso vi dico cosa faremo » continuò lei. « Aspetteremo che torni Vas con il cibo, mangerete e poi sarete liberi di andare dove vi pare. Non vi voglio qui. »
I bambini si guardarono smarriti, finché uno di quelli sani, disse:
« Ci ridate la libertà? »
« Sì » rispose lei. « A tutti voi, tranne lui » e indicò il bambino malaticcio che aveva ispezionato al mercato.
Tutti i presenti guardarono il prescelto, che sembrava non aver capito, probabilmente a causa della febbre, cosa stesse succedendo attorno a lui.
« Questo è il vostro contratto. » disse, impugnando la pergamena che Treznak le aveva lasciato sopra il tavolo, lì di fronte. « Potete restare qui a mangiare o andarvene subito, a voi la scelta. Per quel che mi riguarda siete liberi. » Così dicendo lo strappò.
I bambini si guardarono attorno, increduli e confusi, mentre la donna faceva a pezzi il foglio e si avvicinava al malato; s’inginocchiò e lo guardò dritto in quegli occhietti rossastri:
« E tu, invece… Tu sei mio. »

venerdì 23 maggio 2014

Pleistocene

Dopo una pausa di una settimana in cui sono stato via, lontano da qualsiasi pc e con un cellulare cui si scarica la batteria dopo un'ora di uso intensivo (aka usare facebook, la posta e what's app), eccomi di nuovo in casa con, ovviamente, una vagonata di cose da fare che mi aspettavano al varco.
Chiaro.
Riprenderò quanto prima a postare capitoli o estratti del libro, nel frattempo ho buttato giù un paio di racconti che sono da sistemare ed ho pensato a qualche idea che mi frulla in mente.
Le metterò su carta quanto prima anche se, lo ammetto, non so se sottoforma di romanzo o di racconto; in ballo c'è una storia d'amore, un altro fantasy-poliziesco (come lo è Scritto nel Sangue) e un fantasy di cui ho ideato il sistema magico e l'ambientazione, ma per niente la trama. Ah, poi c'è anche la mezza idea di scrivere un racconto erotico, sopratutto per colpa di un'amica che mi ha stuzzicato in tal senso (non iniziate a pensare male, è nato tutto per uno sfottò).

"Ma perchè sei così fissato col fantasy?" mi hanno chiesto.
Beh, non è facile rispondere; il fantasy è un genere che ho scoperto relativamente tardi, attorno ai vent'anni, quando vidi il primo film di Harry Potter che, frallaltro, considero ancora oggi un gran bell'esempio di fantasy, anche se la quasi totalità delle persone non lo considera tale. Un po' come avviene per Game of Thrones, insomma.
Dopo Harry Potter ho iniziato dalle basi: Il Signore degli Anelli, libro che avevo iniziato alcune volte e non avevo mai superato le prime trenta pagine, Le cronache di Narnia, per poi tornare indietro ancora un poco fino a John Carter (che proprio fantasy non è, diciamo che ne è l'archetipo). Poi è venuto Pratchett, Moorcock e via discorrendo. A quel punto avevo capito come funzionavano le cose con quel genere letterario lì, scoprendo che esistevano davvero tanti sottogeneri letterari differenti.
Penso sia stato un bene che abbia iniziato a leggere fantasy in età adulta: ho avuto la maturità necessaria per distinguere le opere valide da quelle che, beh, non lo sono (e ce ne sono tante, anche se vengono spacciate come capolavori).

Il fantastico mi ha sempre affascinato, devo dire la verità, e alla fine ho trovato fosse piuttosto naturale scrivere qualcosa.
La letteratura fantasy è talmente variegata e sterminata che è facilissimo perdercisi, eppure ancora in Italia si snobba il genere, pur considerando che alcuni dei maggiori incassi della storia del libro, della televisione e del cinema, appartengono al fantasy (Harry Potter, appunto, ma anche Game of Thrones, senza considerare Il signore degli anelli che è praticamente un colosso a sé stante). Ho notato una cosa buffa, in Italia, riguardo a questo fenomeno: quando una saga letteraria diventa abbastanza famosa, la gente sembra seguire la corrente senza far caso al genere di appartenenza e spesso rinnegandolo totalmente. Fate una prova: avvicinatevi ad una ragazzina e chiedetele a che genere letterario appartiene Harry Potter e vedete che vi risponde. Vi assicuro che la stessa cosa capita con i fan di GoT (della serie tv, almeno) e, in molti casi, di Tolkien.

Quante persone conoscete che apprezzano Tolkien ma che "non leggo fantasy perchè è roba per bambini"?

Le motivazioni di questo comportamente, me le son sempre chieste, e sono arrivato alla conclusione che la gente, non considerando il fantasy un vero e proprio genere letterario, ma piuttosto "cose da bambini", si rifiuta di considerare la loro opera preferita, come appartenente ad un genere che considerano (senza motivo fra l'altro), inferiore.
Il fantasy è visto come "roba da nerd", da disadattati; com'è possibile che una cosa del genere possa riguardare la loro opera preferita?

Vi lascio con un'altra cosa inquietante: lo sapevate che Star Wars è un fantasy?

domenica 18 maggio 2014

Scritto nel Sangue - Capitolo 1

Capitolo 1

I Figli della Mezzanotte.

 

« Ti dico che è così, sei fortunato ragazzino ad averci visto all’opera. »

Duk guardò quel ragazzo dagli occhi grandi dall’alto in basso e poi sorrise, con un ghigno sdentato. Era alto, grosso, con il naso schiacciato e ricoperto di cicatrici sul viso, un ricordo degli anni passati in guerra.

« Noi siamo i figli di Mezzanotte. Lui è il nostro capo, vedi? E’ il ladro più in gamba che questa città merdosa abbia mai conosciuto, Mezzanotte in persona! »

Indicò un uomo alto e slanciato, con i capelli biondo cenere e una cicatrice sotto l’occhio. Sembrava avere un certo stile, quantomeno rispetto ai Figli.

« Quello è davvero Mezzanotte? » disse il ragazzino con ammirazione. « È una celebrità! E’ più famoso quasi del Re comesichiama!» rispose quello con tono di ammirazione.

Duk osservava, divertito, il ragazzino. Aveva proprio l’aria ingenua tipica degli stupidi, dei ritardati e dei bambini che non avevano ancora assaggiato la cinghia. Aveva gli occhi grandi, di un verde chiaro come il fondale marino, capelli biondicci e qualche lentiggine che gli sporcava il muso. Era vestito di stracci, ma aveva anche l’aria di uno che mangiava quantomeno tutti i giorni; forse c’era una madre da qualche parte, che si prendeva cura di lui.

 

L’avevano trovato per caso, un paio di ore prima: gli era capitato davanti mentre stavano svaligiando una casa e, con la tipica espressone istupidita di chi sembra essere appena caduto dal cielo, aveva chiesto: 

« E voi che fate? »

Dapprincipio, i Figli rimasero sorpresi, per l’inaspettata comparsa da parte di quel moccioso ma, dopo averlo guardato per qualche secondo, Duk scoppiò una risata fragorosa, seguito a ruota dal resto della banda. “È proprio quello che sembra” pensò. “Un povero scemo.”

Mezzanotte in persona gli aveva lanciato una moneta, che questi prendette al volo, dicendogli di non raccontare a nessuno quello che aveva visto e sperando, nel contempo, di levarselo dalle scatole.

Una volta terminate le operazioni notturne e dopo essere tornati al covo, Duk s’era voltato e, con sua sorpresa, se l’era ritrovato in mezzo ai piedi, in quella cantina puzzolente; evidentemente li aveva seguiti, proprio come un cagnolino affamato a cui si dà, per pietà, un tozzo di pane duro. Quel moccioso gli ispirava tenerezza; gli mancavano perfino due denti, un canino ed un molare. Frog avrebbe voluto tagliargli la gola seduta stante, ma Mezzanotte in persona l’aveva fermato, dicendo di tenere a freno le sue lame se non voleva ritrovarsi con un sorriso di sangue sotto il mento; tutto per somma felicità di Duk che poteva fare il gradasso, ostentando così la loro fama.

 

« Ebbene sì, ragazzino, Mezzanotte in persona! Guardalo bene, così puoi vantarti con i tuoi amici. »

Il ragazzo fece come gli aveva detto l'omone, ma non sembrava affatto convinto.

« Eppure, non sembra proprio Mezzanotte. Dicono che sia più alto e con i capelli rossi. »>

Duk scoppiò in una risata. 

« Ti assicuro, moccioso, che è proprio lui, il ladro più famoso di tutta Gholan. Nessuno può tenergli testa, sempre che non voglia ritrovarsi a far compagnia ai pesci, in fondo al mare. » 

Il ragazzino guardò bene Duk, dal basso verso l’alto. Il brigante era proprio un bestione. 

Gli altri membri della banda, Mezzanotte compreso, erano intenti a dividersi la refurtiva che avevano rubato poche ore prima, sistemandola sul grosso tavolo al centro della cantina e non si curavano di loro.

« Insomma voi siete proprio Mezzanotte e la sua banda. »

« Sicuro come il buco del culo dei demoni, moccioso. Noi e noi soli! »

« Capisco. »

 

Mise una mano in tasca e tolse fuori un piccolo coltello. Duk nel vederlo scoppiò in una risata sguaiata.

« E con quello cosa vorresti fare, moccioso? »

Il ragazzo strinse gli occhi, perdendo tutto a un tratto l’innocenza e l’aria di stupidità che l’aveva contraddistinto fino a pochi secondi prima e sorrise, come un gatto che tiene per le zampe un topolino e si prepara a mangiarlo. 

Era indubbiamente la stessa persona, lo stesso volto, la stessa corporatura, ma c’era qualcosa di diverso in lui: aveva perso il candore tipico dei bambini ed era diventato adulto nel giro di qualche istante. Sul suo volto s’era formato uno sguardo assassino, glaciale, che solo chi era avvezzo ad uccidere possedeva.

Fu un cambiamento così repentino, che il bandito perse il suo sorriso di scherno e lo guardò interrogativamente.

 

Il ragazzo non disse nulla, ma col coltello s’incise il palmo della mano, mentre il bestione lo osservava, più confuso che mai; allungò la mano sporca di sangue, toccando il braccio di Duk e questi si ritrovò a galleggiare in aria. Il ragazzo lo prese per la cintura e lo lancio verso l’alto, facendogli sbattere violentemente la testa sul soffitto. Duk rimase li, esanime, a fluttuare.

 

Tutti si voltarono per capire che cosa fosse successo. 

Frog brandì la sua sciabola e si lanciò all'attacco con un urlo, ma il ragazzo eseguì un balzo laterale, atterrando sopra la parete destra della stanza. Qui estrasse un coltello dalla lunga lama, che teneva nascosto dietro la schiena, poi si diede lo slancio con le gambe verso Frog e gli atterrò sopra le spalle. Questi non fece in tempo a capire cosa stesse succedendo, che si ritrovò con il coltello piantato nella nuca. Gli altri due membri della banda brandirono le loro armi e, urlando frasi sconnesse, si lanciarono addosso al ragazzo. Lui usò Frog come punto d'appoggio per spingersi verso l'alto e, mentre fluttuava per aria, eseguì una capriola, per poi atterrare con i piedi sul soffitto. Si diede quindi un'altra spinta verso il basso, in direzione dei due nemici e arrivò alle loro spalle, mentre uno di essi si afflosciava su pavimento, con la gola tagliata. Si voltò poi di scatto, lanciando il coltello per colpire l’ultimo membro della banda alla schiena e infine si voltò verso Mezzanotte, che lo guardava con la faccia terrorizzata di chi avesse appena visto qualcosa di impossibile, anche solo concepire.

« E quindi eccoti qua, “Mezzanotte” » disse con voce sprezzante.

 

L’uomo sembrò risvegliarsi dal torpore; estrasse quindi la spada e si lanciò all’attacco. Il ragazzo si spostò di lato e gli diede uno schiaffo sulla schiena, con la mano che si era inciso all’inizio del massacro. Mezzanotte si ritrovò immediatamente a galleggiare per aria, proprio com’era successo poco prima a Duk.

 

« Ma io dico: bisogna essere proprio stupidi come pochi, per andare in giro a vantarsi di essere il più grande ladro di Gholan, senza esserlo. Poi magari il vero Mezzanotte se ne accorge e non è contento. Neanche un pochetto. »

Il finto Mezzanotte spalancò la bocca dallo stupore, mettendosi a tremare.

« Che poi posso anche capirlo eh? Furti facili, che il vero Mezzanotte non prenderebbe neanche in considerazione, e sfruttare il suo nome per rimanere impuniti. Tanto la colpa ricadrà su di lui, no? »

L’uomo cercò di bofonchiare qualcosa.

« Ecco… Io… »

« Normalmente, la cosa al vero Mezzanotte non importerebbe un fico secco » proseguì il ragazzo. « però, ecco: c’era proprio bisogno di ammazzarlo quel mercante, tre giorni fa? »

« Ma aveva fatto resistenza » rispose lui, atterrito. « Aveva visto Frog in faccia e minacciava di dirlo alle guardie! »

« Ah… Quindi è per questo che gli avete stuprato e ammazzato le figlie eh? Vi minacciavano anche loro. » La voce del giovane s'indurì. « Pure quella dentro la culla »

Il falso Mezzanotte rimase in silenzio, non trovando nulla da dire.

« No, davvero, normalmente a Mezzanotte non importa di chi usa il suo nome, per fare qualche furtarello. È che voi avete esagerato. Un massacro così attira attenzioni indesiderate, che Mezzanotte non desidera. E ora, eccomi qui. »

L’uomo singhiozzò piano, mentre il ragazzo andava a recuperare il suo coltellaccio, dalla schiena dello sgherro di prima.

« Su su, non piangere, non è proprio il caso. Ora voglio che ci pensi molto attentamente e me lo dica: dov’è il bottino che avete preso a quel mercante? »

L’uomo indicò con il dito tremante un cassetto nell’armadio alla sua sinistra.

« E’ lì! Lì! E’ tutto quello che è rimasto, te lo giuro! »

Il ragazzo aprì il cassetto, trovandoci un monile d’argento con una grossa pietra al centro, e iniziò a rigirarselo fra le mani, studiandolo. 

« E’ tuo! Prendilo, ma non uccidermi ti prego! »

Per tutta risposta, gli conficcò il coltello alla base del collo, uccidendolo sul colpo. Prese per la collottola il corpo morto, che ancora galleggiava per aria e gli mise al collo il monile del mercante. 

Con la mantella del finto Mezzanotte, pulì la lama del coltello, la rimise dietro la schiena e si diresse verso l’uscita. Fatti due passi, il corpo cadde per terra di schianto assieme a quello di Duk che per tutto il tempo era rimasto a fluttuare senza sensi, sul soffitto. 

Passando di fronte a quest’ultimo, gli piantò il coltello nel cuore e uscì dal covo fischiettando.

lunedì 12 maggio 2014

Scritto nel Sangue - Prologo

Prologo.
Cinquecento anni prima.


 


Re Uthor il Magnifico, scortato dalle sue guardie personali, entrò con passo svelto nel laboratorio, fermandosi di fronte alla porta. Era una vasta sala rettangolare, permeata da un odore pungente che  proveniva da una nuvola di vapore rossastra, simile a nebbia, che pervadeva l’intera stanza. Tutt’attorno a lui era un viavai confuso di alchimisti che studiavano reazioni e scrivevano formule, andando da un tavolo all’altro per analizzare i processi, valutare gli errori e confrontarsi fra loro.
Alla sinistra del Re, era presente una grossa lavagna, fitta di glifi e combinazioni matematiche, incomprensibili agli occhi di Uthor. D'avanti a lui, vi erano un paio di alchimisti, che discutevano animatamente su un fantomatico “fattore di stabilità”; alla sua destra, file e file di grossi banchi da lavoro in legno, su cui erano poggiate ampolle, alambicchi e fornelletti di varie forme e dimensioni, in cui ribollivano sostanze di natura e colori molto diversi; una decina di alchimisti si spostavano velocemente da un tavolo all’altro controllando temperatura, colore e densità di un particolare liquido ambrato, il quale poi veniva travasato, filtrato e rimescolato, cambiando tonalità ad ogni fase del processo, fino a diventare cremisi.

A Uthor ricordavano proprio tante formiche agitate, come se qualcuno avesse appena introdotto una goccia di ammoniaca nel formicaio.

“Era sempre così quando si trattava di alchimisti” pensava il Re. Una gran confusione, eruditi con la testa altrove che parlavano linguaggi astrusi, tanto da assumere un atteggiamento di condiscendenza, sentendosi in qualche modo superiori al resto del mondo. Loro avevano studiato, avevano la scienza assoluta. 
Uthor li odiava tutti, dal primo all’ultimo.
Da quando aveva piegato con la forza Rajan e deposto l’Arconte, aveva al suo servizio tutta la scienza di cui la città disponeva. La città più sviluppata del mondo, nulla aveva potuto contro le sue orde di guerrieri. Barbari li chiamavano; ma quei barbari avevano vinto con la sola forza delle loro spade e ora Rajan era sua, scienza compresa. Ma come Uthor dimostrò con la sua vittoria, la tecnologia da sola non bastava per unificare tutto il continente sotto un unico cielo, in un unico stato: le altre nazioni si erano alleate contro di lui, rendendo chiaro che nulla avrebbe potuto contro i loro eserciti riuniti; ed era vero, purtroppo, pensò sbuffando. Per questo motivo aveva accettato e tollerato fino ai limiti della sopportazione, questa masnada di studiosi: per vincere, per conquistare, per dominare.

Il giorno era arrivato, finalmente; il giorno in cui tutto era pronto, almeno a sentire questa manica di dementi paludati.
C’erano voluti vent’anni. Vent’anni di attese interminabili, mentre lui esigeva risultati.
Aveva aspettato fin troppo questa guerra.
Si era quasi pentito, nel corso degli anni, di aver dato ascolto a questi mentecatti eppure le promesse erano allettanti, seducenti: creare un'arma, l’arma che gli avrebbe permesso di diventare imperatore. Questo gli era stato promesso e questo avrebbe ottenuto.
Aveva investito troppo denaro e troppe energie in questo progetto, per avere un qualsiasi tipo di ripensamento, soprattutto ora che gli restava così poco da vivere.
Suo figlio aveva l’età giusta per ereditare il regno e lui l’aveva forgiato come suo padre con lui: gli avrebbe lasciato un impero da governare, gli dei erano testimoni. Su tutto questo rifletteva, mentre osservava il laboratorio e i suoi occupanti.

Il Capo Alchimista, Magister Aleius, lo raggiunse e s'inchinò al suo cospetto.
« Sua Maestà, sono lieto che siate venuto: è tutto pronto, come vi avevamo promesso. »
« Bene. Quante unità avete testato? »
« Diecimila, sire; tanti sono stati i fallimenti, ma oramai ci siamo: abbiamo raggiunto la quota stabilita. »
Il Re annuì, compiaciuto.
« Duemila operative? »
« Sì maestà, in anticipo sulla tabella di marcia » rispose il magister, accordandosi all’umore del sovrano.
Uthor chiuse gli occhi e inspirò a fondo.
« La formula è sicura? »
Aleius esitò.
« Sire la formula funziona, è vero, ma è anche altamente instabile. Le perdite sono ancora alte, uno su cinque. Per ottenere i numeri che ci avevate chiesto, abbiamo sottoposto il trattamento a diecimila martiri. »
Uthor inarcò le sopracciglia.
« Mi avevi garantito la piena affidabilità. »
Il Capo Alchimista si tamponò la fronte con un fazzoletto, che aveva estratto dalla tasca.
« Sire, il tempo… »
Il Re, con uno scatto fulmineo, lo prese per la collottola e lo sollevò di qualche centimetro da terra, esclamando:
« Io non ho tempo, razza di verme! » Poi, con una vigorosa spinta, lo scaraventò su un banco da lavoro lì vicino, mentre gli uomini della sua scorta, mettevano mano all'elsa delle loro spade.
Tutto il laboratorio si pietrificò all'istante. Tutti si arrestarono guardando, chi terrorizzato chi incuriosito, quello che stava accadendo.
Dopo qualche attimo, alcuni apprendisti visibilmente preoccupati, si avvicinarono al magister e lo aiutarono a rimettersi in piedi.
« Va' a prendere quel tuo intruglio » comandò il sovrano. « Ora! »
Il capo alchimista guardò Uthor e, lisciandosi la tonaca con le mani, si voltò e uscì dal laboratorio. Tornò dopo pochi minuti con una fiala di vetro dal contenuto rossiccio; sembrava un concentrato, denso e scuro, di quella nebbia che pervadeva il laboratorio e turbinava nella fiala come un vortice.
Aleius allungò le mani tremanti verso Uthor, che gli strappò la fiala con un gesto secco e la stappò con malagrazia.
« Ti do un avvertimento vecchio: i miei uomini hanno l’ordine di uccidervi tutti se mi dovesse succedere qualcosa. Prega i tuoi dei che questa roba funzioni. »
Aleius sbiancò ma, pur con il volto contratto dal terrore, trovò in qualche modo la forza di annuire.

Il Re si cacciò in gola il liquido viscoso, che pareva sangue, con un unico lungo sorso.
La prima cosa che sentì fu il dolore; ovunque, dolore.
Assoluto, fulmineo, massacrante.
Durò solo qualche attimo, solo alcuni istanti che a lui parvero interminabili.
Poi iniziarono a scorre le lacrime. Rivoli di sangue gli solcavano le guance e sentì gli occhi bruciare, come qualcuno gli avesse infilato dei tizzoni ardenti nelle orbite.
Avvertiva una delle guardie che cercava di sostenerlo con il braccio, ma il dolore era troppo forte, troppo intenso. Iniziò a mancargli il respiro e, quando fu sul punto di crollare al suolo in preda agli spasmi, tutto finì, di colpo, com’era iniziato: all’improvviso stava di nuovo bene, si sentiva scoppiare di vitalità, come non ne aveva mai avuta.

« Ha… funzionato. » Disse il magister.
Uthor si guardò le mani: si sentiva colmo di vita, come se nel suo petto ardesse una forgia di pura energia, che aspettava solo di essere consumata. Si mosse a una velocità che non era umana, afferrò il capo alchimista e gli sfondò la testa con un unico, poderoso pugno.
« Sì » disse, guardandosi stupito le mani. « Ha funzionato. »
Sorrise, mentre il resto degli alchimisti iniziava ad urlare in preda al panico e all’orrore e, sempre sorridendo, si rivolse alle sue guardie:
« Uccideteli tutti quanti! Bruciate tutto! Non deve rimanere niente di questo posto! Niente! »

sabato 10 maggio 2014

Scritto nel Sangue - I Personaggi

Era luglio 2013 e faceva caldo, un caldo della madonna. Me lo ricordo come se fosse ieri: caldo da scoppiare. Davanti ad un pc non mio, con la pagina di Word aperta e un pensiero in mente: e ora?

Da qualche giorno pensavo a come dovesse essere strutturato questo libro: il sistema della magia soprattutto, volevo che fosse abbastanza originale (che poi ci sia riuscito o no, lo lascio giudicare a chi ha letto o leggerà il romanzo); una volta risolto quel problema lì, ho pensato ai personaggi. Subito mi venne in mente uno splendido libro che ho amato, quando lo lessi tanti anni fa: "Gli Inganni di Locke Lamora".
"Ecco" mi dissi "Il protagonista dovrà essere un ladro, come Locke."
L'idea di partenza fu quella, perchè a me Locke Lamora piaceva veramente parecchio (una lettura che consiglio a tutti gli amanti del fantasy, frallaltro) e quindi decisi così che il protagonista sarebbe stato un ladro e che doveva essere abile coi coltelli. Il nome venne fuori per una specie di scherzo, che poi rivelo nel finale: Dog.
Dog, il ladro stronzo e abile coi coltelli. Ecco qua, il primo personaggio di Scritto nel Sangue, anche se all'epoca non sapevo ancora dovesse chiamarsi così.
Dog ha all'incica venticinque anni, è una persona che ama il suo lavoro e che detesta che gli si vengano rotte le scatole. È un tipo scattante, agile e sopratutto, letale (tutto il contrario di Locke Lamora, per intenderci). Maneggia stiletti e pugnali come fossero un estensione del suo braccio e non si fa alcuno scrupolo ad uccidere, anche se quella non è certo la sua prima opzione.

Qualche settimana fa andai a vedere Capitan America 2: Il soldato d'inverno. Bel film. Quello che mi ha colpito, è stato proprio l'antagonista, il Soldato D'inverno: si muove esattamente come m'immagino si muova Dog, se oltre i coltelli disponesse di armi da fuoco.

Quando lo creai, ebbi in testa quel famoso dialogo di Mr. White e Mr. Pink de "Le Iene":

Mr. Pink
: Io non voglio ammazzare nessuno, ma se devo uscire da quella porta e tu mi sbarri il passo, in un modo o nell'altro ti levo di mezzo.
Mr. White: Anch'io la vedo così! Cioè, se devo scegliere fra te e dieci anni di galera, non ci metto un attimo a spedire uno stronzo al creatore.

Ecco, Dog nasce da questa frase.
D'altro canto, per l'altro personaggio, Vorat, le cose furono un po' più complicate.

Scritto nel Sangue - La genesi

Un giorno, era giugno 2013, mi trovavo alla stazione di Torino mentre aspettavo di prendere il treno che mi avrebbe poi portato a Milano, per vedere un fantastico concerto degli Iron Maiden. Considerando che mancavano ancora circa tre quarti d'ora alla partenza, decido di andare a cazzeggiare un po' alla Feltrinelli della stazione.
Capito nella sezione fantasy della libreria e inizio a vedere un po' cos'è uscito di nuovo. In effetti è perloppiù gente che non ho mai sentito nominare a parte una, Laura MacLem (che posso anche vantarmi di conoscere da parecchi anni), la quale ha pubblicato probabilmente da un annetto il suo romanzo, Incanto di cenere.
Prendo in mano il romanzo e mi dirigo verso la cassa per comprarlo, visto che qui ad Alghero non s'è visto manco di striscio (scoprirò poi, qualche mese più tardi, che in effetti una libreria l'aveva portato e messo tra gli Young Adult, per somma gioia dell'autrice, che ovviamente ho sfottuto senza pietà).
Mentre sono in fila, inizio a pensare che forse, dico forse, scrivere qualcosa non sarebbe poi una cattiva idea. Non per sminuire Laura che è una scrittrice che mi piace, però insomma: se ce l'ha fatta lei, perchè non provarci pure io?
Così nacque l'idea di Scritto nel sangue, mentre ero in fila alla Feltrinelli di Torino, a comprare il libro della mia amica.
La cosa buffa è che poi, una volta deciso che avrei dovuto scrivere un romanzo e che sicuramente sarebbe stato un Fantasy, ho iniziato a pensare a come doveva essere questo fantasy e le cose sono andate praticamente lisce lisce: il sistema magico mi è venuto in mente a luglio, mentre aspettavo fuori da un supermercato fumando una sigaretta, con un caldo asfissiante. I protagonisti sono venuti subito dopo, così, con scioltezza. E poi, sempre a luglio, con una traccia sulla trama e qualche idea qui e là, mi sono messo a scrivere e non ho più smesso fino a ottobre.

Lo so che non è una storia poi così interessante, però anche nelle storie meno interessanti, da qualche parte si dovrà pure iniziare, no?

giovedì 8 maggio 2014

E si (ri)comincia.

Ed eccomi qui, in una veste rinnovata.
Chi già mi seguiva sull'altro blog, sa perfettamente chi sono e perchè (o almeno spero); per tutti quelli che invece sono appena giunti su queste pagine, mi chiamo Andrea (ma Munky va bene uguale) e sono un disoccupato con il pallino della scrittura.
Ho da poco concluso il mio primo romanzo, Scritto nel Sangue (c'è una categoria apposta apposta proprio, ma guarda un po', fra le categorie, anche se per ora non c'è niente) ed ho quindi deciso di aprire questo blog, perché sono un paraculo e dovrei decisamente iniziare a farmi almeno un pochino di pubblicità, per quando la maledetta revisione sarà finita.
Questo blog nasce con l'intento di raccogliere alla bell'e meglio, tutto il materiale che ho prodotto e quello che prima o poi produrrò. Qui troverete i racconti che scriverò, le mappe del mio (per ora) primo romanzo e qualche anticipazione qui là.
Insomma, una normalissima pagina di un autore esordiente, che spero sarà un attimino più seria di quell'altra pagina là (anche se, conoscendomi, non ci giurerei affatto)

Non ho altro da aggiungere, almeno per il momento, quindi ecco: benvenuti nuovi lettori e bentornati a quelli vecchi.