martedì 27 maggio 2014

Scritto nel Sangue - Capitolo 2

Capitolo 2.
Vent’anni prima.


Il mercato di Thiasi stava oramai per chiudere.
Treznak Urren si passò un fazzoletto sudicio sulla fronte. Faceva caldo, ma era anche piuttosto nervoso: il suo ultimo carico non era andato bene e di tutti gli schiavi che aveva raccattato nelle Pianure, ben pochi erano sopravvissuti al viaggio. Tutto per colpa della Febbre Rossa, che aveva contagiato buona parte del carico. Doveva esserci qualcuno, fra quei pidocchiosi nel carro, che l’aveva contratta chissà come e lui, dannazione a tutti gli dei, non se n’era accorto. Aveva perso la maggior parte dei suoi schiavi e ben due guardie del corpo, che l’avevano servito per molti anni.
« Una sventura così, non mi era mai capitata, in quindici anni che faccio questo lavoro » borbottava oramai da due giorni.
Cosa gli era rimasto? Uno schiavo senza un braccio, probabilmente un reduce, che gli avevano appioppato assieme a un lotto di una ventina di bambini, probabilmente orfani di guerra, di cui la metà era già morta per la febbre; un vecchio sdentato con la barba tutta spelacchiata e un ragazzo di quindici anni, con i sintomi evidenti di crisi d’astinenza da chissà quale droga.
Certo, la guerra portava buoni affari, sempre che una dannatissima febbre non ci si mettesse di mezzo. Ovunque andasse, c’era una madre che vendeva uno o due figli per un tozzo di pane, qualche bambino che vagava per le Pianure solo al mondo o qualche reduce, troppo ubriaco o drogato, per rendersi conto di quello che gli succedeva attorno.
« Però, quella dannatissima Febbre Rossa! »
Sospirò,a metà tra l'esasperato e lo speranzoso.
Sperava di vendere il lotto completo dei bambini rimasti; aveva messo quelli che tossivano in seconda fila, sperando che nessuno se ne accorgesse e li aveva minacciati tutti con la frusta per farli stare buoni.

Si avvicinò al banco una signora, una gran bellezza: sulla trentina, con capelli ramati, il viso ovale e gli occhi verdi. Impugnava un ombrellino per proteggere dal sole la sua pelle bianchissima ed era vestita con un abito di seta, che non avrebbe sfigurato alla corte di Re Othar. “Una nobile” pensò Treznak senza esitazioni.
La osservò, notando una cosa curiosa: era sola. Nessun servitore, nessun marito, nessuno schiavo al seguito.

Treznak iniziò a ronzarle attorno, come una mosca attorno ad un vasetto di miele aperto.
« Gentilissima signora, posso esserle d’aiuto? Guardi qua, merce di prima qualità a ottimi prezzi, parola di Treznak Urren! »
La donna guardò Treznak come si osserva un insetto disgustoso, ma non disse nulla. Si portò un fazzoletto sulla bocca e si avvicinò alla prima fila di bambini.
« Questi vengono dritti dritti dalle Pianure, merce di prima qualità glielo assicuro! Guardi, hanno ancora tutti i denti. Controlli, controlli pure! »
Ovviamente, i bambini ammalati di Febbre li aveva messi tutti in seconda fila, sperando che ci si accorgesse dell’inganno solo una volta comprato tutto il lotto. A quel punto, Treznak sarebbe stato già molto, molto lontano.
La donna allungò la sua mano guantata, spostando malamente un paio di bambini spaventati e afferrò per le guance uno di quelli in seconda fila, facendogli aprire la bocca. La ispezionò per bene e vide che mancavano due denti, poi gli controllò gli occhi, che avevano una sfumatura rossa nella sclera, tipica dei primi stadi della malattia.
Dopo averlo ispezionato per alcuni minuti, ritirò la sua mano, mentre lo schiavo iniziava a tossire.
« Quanto vuoi? » chiese con tono rude.
« Signora mia, per lei un prezzo di favore! Per tutto il lotto, chiedo solamente diecimila pezzi di stagno, sull’unghia! Mi sto rovinando, glielo giuro! »
La donna guardò il mercante severamente.
« Non tutto il lotto, solo lui.» disse, indicando il bambino che aveva appena ispezionato.
« No, signora mia, no. Qui vendiamo tutto in blocco, non posso certo venderle solo uno schiavo! Poi mi diventerebbero spaiati, e come faccio? No no, devo venderli tutti assieme, mi spiace. »
La donna sbuffò, con evidente disappunto.
« Va bene, allora » rispose lei. « Diecimila però sono troppi. Quasi tutti sono malati e alcuni stanno per lasciarci la pelle. Tremila mi sembra un prezzo più onesto. »
« Tremila! Ma voi mi volete rovinare, signora mia! Facciamo ottomila e non se ne parla più, ci sto andando pure sotto! »
La donna lo guardò freddamente. « Quattromila, è la mia ultima offerta per tutti. E aggiungi quello senza un braccio. »
Treznak sospirò con la sua migliore faccia afflitta anche se, intimamente, il suo cuore urlava di gioia: nonostante tutto, era riuscito a recuperare i costi e non si poteva chiedere di più, dopo tutta quella sfortuna.
Tirò fuori il contratto di proprietà, in modo che la donna potesse firmarlo e aspettò il pagamento, che avvenne subito, quando la donna tirò fuori dal borsello quattro monete d’oro, che era la somma pattuita.
Si accordarono per la consegna da lì a due ore, in una casetta fuori città.

Nel cortile della casa, una piccola e anonima costruzione di legno e pietra, la donna mise in fila i suoi schiavi e li guardò tutti, uno per uno, fermandosi infine su quello senza un braccio.
« Tu, come ti chiami? »
« Vas, signora »
« Va bene, Vas. Ti darò cinquanta pezzi di rame: compra cibo e dei vestiti per tutti. E trovami un dottore, in fretta. »
Vas rimase un po’ interdetto, mentre la donna gli allungava il borsellino con le monete.
« Che aspetti? Forza, muoviti! »
L'uomo prese il borsello e sparì velocemente.
« Adesso vi dico cosa faremo » continuò lei. « Aspetteremo che torni Vas con il cibo, mangerete e poi sarete liberi di andare dove vi pare. Non vi voglio qui. »
I bambini si guardarono smarriti, finché uno di quelli sani, disse:
« Ci ridate la libertà? »
« Sì » rispose lei. « A tutti voi, tranne lui » e indicò il bambino malaticcio che aveva ispezionato al mercato.
Tutti i presenti guardarono il prescelto, che sembrava non aver capito, probabilmente a causa della febbre, cosa stesse succedendo attorno a lui.
« Questo è il vostro contratto. » disse, impugnando la pergamena che Treznak le aveva lasciato sopra il tavolo, lì di fronte. « Potete restare qui a mangiare o andarvene subito, a voi la scelta. Per quel che mi riguarda siete liberi. » Così dicendo lo strappò.
I bambini si guardarono attorno, increduli e confusi, mentre la donna faceva a pezzi il foglio e si avvicinava al malato; s’inginocchiò e lo guardò dritto in quegli occhietti rossastri:
« E tu, invece… Tu sei mio. »

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