martedì 30 giugno 2015

sabato 27 giugno 2015

Hey tu chi sei?

La cosa che mi ha sempre lasciato un po' stupito di quando scrivo qualcosa, è che non ho bisogno di un'atmosfera particolare, ne di esigenze particolari: in genere, se mi sento in vena, mi metto al pc, un po' di musica (anche se spesso basta il silenzio) e via che si va.
Specifico questo perché conosco svariati personaggi che per scrivere hanno bisogno dell'atmosfera giusta, una colonna sonora adatta, abbassare le tapparelle, la sigaretta sulle labbra - come se la loro vita fosse un film noir.
La cosa buffa, ripensandoci, è che magari sto scrivendo qualcosa di particolarmente macabro, e sullo stereo sto ascoltando canzoni romantiche.

Me ne sono accorto prima, mentre buttavo giù questo paragrafo del nuovo romanzo:

Sammy osservava la scena come in preda ad un freddo torpore; aveva passato in rassegna i cadaveri alla ricerca di Bez e aveva finito per riconoscere persone che solo qualche ora fa aveva intravisto o salutato, qualcuno che addirittura conosceva.
C'era Jess, con la gola squarciata da una pallottola, riversa su di un corpo reso irriconoscibile dal sangue; uno di quelli che aveva conosciuto qualche giorno prima alla clubhouse, era sdraiato per terra in una posizione innaturale, con il sangue che gli insozzava il petto maciullato. Non ricordava come si chiamasse, forse Birds o Cole chissà, eppure ecco lì la sua faccia, troppo giovane per morire a quella maniera, con la bocca spalancata e gli occhi sbarrati, quasi fosse cristallizzata in un espressione di stupore terrorizzato.
Ed ascoltavo questa canzone:




venerdì 26 giugno 2015

Parenti

Incontro per strada una mia zia che non vedo da un po', ci salutiamo e, mentre cerco di aggirarla per non dovermi fermare a parlarci, quella mi sbarra il passaggio costringendomi a fermare i miei passi ed attacca bottone.
Solite domande di rito ("A casa tutto bene?" "L'università?" "Il Lavoro?"), poi scatta la bomba:

«Ma com'è questa storia che ha scritto un libro, eh?»
«Che ti devo dire» rispondo, tranquillo. «Avevo una storia e l'ho messa giù.»
Lei sorride. «Ah, il mio nipote scrittore
Lo dice con quel tono lì, quello che identifica la parola scrittore, come fosse una divertentissima presa per il culo che solo lei può capire.
Faccio spallucce e lei prosegue.
«Ma guarda che l'ho letto eh, mi è proprio piaciuto! Fin da piccolo anche tua mamma lo diceva che a scrivere non ti batteva nessuno!»
«Ah, ma l'hai preso quindi?»
«Sì, sì, certo! L'ho finito giusto l'altro giorno.»
Penso velocemente al report delle vendite del mese in corso, poi chiedo: «E ti è piaciuto?»
«Molto, sì» risponde. «Anche se un po' macabro no? Non me l'aspettavo proprio.»
«E ti è piaciuta la parte con il drago che fa quel macello in città?»
«Quella forse è la parte migliore del libro» risponde con un sorriso, poi passa a qualche altra domanda e finalmente sono libero di andare per i fatti miei.

Indovinate cosa non c'è nel libro?

lunedì 15 giugno 2015

Scritto nel Sangue, la recensione di Tanabrus

Tanabrus, un blogger che stimo molto non fosse che mi ha fatto scoprire quel genio di Sanderson, ha recensito Scritto nel Sangue sul suo blog. Lo ringrazio vivamente per il tempo che ha concesso al mio manoscritto, dimostrandosi nel contempo una persona squisita. Qui la recensione:

https://torreditanabrus.wordpress.com/2015/06/14/scritto-nel-sangue/

lunedì 8 giugno 2015

La burocrazia che ti può aiutare - Parte 3

[Parte 1] - [Parte 2]

Avevamo lasciato il nostro eroe (cioè io), con un faldone di fogli che sono finiti tutti nel tritarifiuti e con, finalmente, in mano il maledetto ISEEU.
Una volta ottenuto l'agognato documento (che ripeto essere una copia-carbone di altrettanti documenti perfettamente identici degli ultimi cinque anni, in cui cambia solamente la data), mi avvio a tornare in quel di Sassari per regolarizzare la mia situazione.
Aspetto quindi il lunedì, visto che il maledetto ufficio è aperto solamente il lunedì mattina o il martedì pomeriggio e mi metto in marcia con un'ora e mezza di anticipo, per non trovare fila.
Arrivo lì che sono le otto e mezza, e ci sono già quindici persone davanti a me.
"Ma cristoddio" penso "a che minchia di ora bisogna venire per non trovare gente?"
Recupero il numeretto e mi va sostanzialmente bene, sono il numero tre, essendo gli altri impegnati con altri sportelli.
Mi metto dunque in attesa, mentre la piccola e soffocante stanzetta, lentamente e inesorabilmente, si riempie di gente.

Arrivano le 9:30, si aprono le porte ed io mi metto diligentemente in fila.
Ora, sapete come sono fatte le code no? Si annuncia il numeretto, solitamente da uno schermo digitale e si va allo sportello indicato. Per snellire le cose, in genere ogni fila è distinta dalle altre, per cui si avrà, tipo il 28A che deve andare allo sportello A, il 37B che va allo sportello B e così via.
Tutto bello e edificante, non fosse che solitamente (e questo capita sistematicamente OVUNQUE, che sia in banca, in posta o al comune), l'omino dietro lo sportello A inizia a ricevere gente anche dallo sportello B, per cui quando è il tuo turno, vieni tranquillamente glissato da una decina di persone che ti passano davanti, perché l'omino ha deciso di occuparsi anche della fila del collega.
È chiaramente quello che succede a me: mi passano davanti cinque persone prima che inizi a salmodiare qualche bestemmia. Alla decima, inoltro protesta cui mi viene risposto un laconico "Aspetti il suo turno".

È quindi con questi sentimenti di gioia e speranza che mi avvicino, dopo un'ulteriore attesa di tre quarti d'ora.
La tipa, quando mi vede mi riconosce subito.

«Salve! Ha portato l'ISEEU?» pigola con un sorriso a trentaquattro denti.
Io non dico nulla, temendo ciò che potrebbe uscire dalla mia bocca in quel momento e le piazzo il foglio davanti.
«È giusto in ritardo di qualche settimana» mi dice, sempre con quel fottuto sorriso. «È fortunato sa, perché io in teoria non potrei più farle questa cosa, perché i rendiconti avrebbero dovuto chiudere la scorsa settimana, mentre sono fortunatamente in ritardo. Fortunatamente per lei, intendo.»
«Guardi che non è che io ho portato sto foglio ora perché, boh, stavo giocando con le barbie fino ad oggi eh?»
Lei alza un sopracciglio e mi guarda con la faccia de "Ma chi vuoi prendere per il culo, amico mio?" però fortunatamente non dice nulla e continua ad immettere i dati nel computer.
Dopo alcuni minuti, volta lo schermo verso di me.
«Ecco fatto, ora lei deve pagare questo e quest'altro. Poi, visto che ha portato la documentazione in ritardo, dovrà pagare la mora.»
«Quant'è?»
«Cinquanta euro. Dai, non sono mica tanti eh?» e ride.
Cioé, ride. E non solo, perché continua con: «Certo, sarebbero stati meglio nella sua tasca piuttosto che darli a noi eh?» e continua a ridere.
Io la guardo.

Mi tornano in mente quei ragazzi della Columbine, assieme a quel mezzo coreano di qualche anno fa che stabilì il record; poi mi torna in mente il tizio ad Aurora, che alla prima di The Return of the Dark Knight, imbracciò il fucile e iniziò a sparare.
Ho un'immagine vivida di lui, al processo, con la divisa arancione, i capelli rossi e lo sguardo stordito, come fosse sotto effetto di valium.
Quando fu condannato, Holmes (questo il suo cognome, un cognome che evoca nobilissimi ricordi), fu molto sorpreso di essere tradotto in prigione e chiese il perché si trovasse lì.

Io aborro la violenza e non imbraccerei mai un fucile ma, in quel momento, ho empatizzato per quel povero ragazzo che chissà, magari gli stava semplicemente sul cazzo il bigliettaio del cinema.

Mi riprendo da quei sogni ad occhi aperti e tento di moderare le bestemmie che mi stanno per venire fuori dalla bocca.
«Senta» dico. «È un mese che sto appresso a questo fottuto foglio. Un-mese. Prima voi non mi mandate la mail per avvisarmi di inserire i dati, poi il CAAF mi dice che non può farmene una copia perché nel frattempo è cambiata la legge e devo rifare tutto daccapo. E solo per questo ci son volute tre e dico tre settimane. Ora io son qui, davanti a lei che mi dice che devo pagare ulteriori cinquanta euro di mora per uno sbaglio che sostanzialmente avete fatto VOI e ride. Cioè, lei sta ridendo.»
La guardo ed il sorriso le si è cristallizzato in faccia.
«E mi sta pure prendendo per il culo. Ma mi dica, c'ho scritto sulla fronte "imbecille" per caso?»
Silenzio di tomba.
La tipa nello sportello li di fianco mi guarda, così fa la persona che stava servendo. Mi guardano a bocca aperta, l'ufficio è stranamente silenzioso, un silenzio irreale.
Forse si aspettano che da un momento all'altro tiri fuori una pistola, non lo so.
«Allora?» chiedo, gelido.
«Ehm io, cioé...»
«No dico, ho scritto sulla fronte imbecille? Guardi, sto anche perdendo i capelli, quindi mi è diventata pure bella spaziosa, dovrebbe essere facile da vedere la scritta. C'è?»
La tipa non risponde, digita le ultime due cose e si sente la stampante entrare in azione. Il silenzio si taglia col coltello, scandito solamente dai TA-CLACK della stampante che in trenta secondi sputa fuori un foglio.
La tipa si volta, lo prende e senza guardarmi me lo porge.
Io fisso il foglio per qualche secondo, poi fisso lei. Afferro il maledetto, alzo i tacchi e me ne vado.

Ancora una volta il nostro eroe ha vinto (?).