giovedì 28 agosto 2014

Basterds on the road

Sto giocando ad una vecchia gloria del PC, Caesar 4, quando mi arriva un messaggio da Alex: "Stasera si va ad Aglientu".
Nella mia testa si forma vivida un'immagine: me, il sabato prima, vagamente ubriaco, che affermo che sarebbe un idea favolosa andarci. "Ma certo, stai tranquillo, preparo io da mangiare".
D'ho.
Metto sù una cofana di riso per quattro persone, recupero qualche barattolo da casa, poi preparo in fretta e furia lo zaino, visto che Alex sarebbe passato a prendermi alle cinque.
Verso le sei sento il suono familiare del clacson, e io mi sto asciugando dalla doccia appena fatta. Il riso è pronto, anche se in realtà devo ancora mettere qualche ingrediente e lo zaino è fatto per metà. Finisco tutto in tempo di record e, con la barba ancora gocciolante, salgo in auto. Mi accolgono Alex e i due amici romani, Celestino e Attilio (nomi di fantasia).

Destinazione Aglientu, per il Summer Blues Festival.


 
Il percorso



In auto, oltre la mia insalata di riso fatta con materiali di fortuna, ci sono 4 litri di birra dell'eurospin con bottiglia di plastica, residuo di una cena a casa mia della settimana prima; una roba che non userei neanche per lavare per terra.
Chiaramente siamo in ritardo per l'inizio del festival, ma questi sono puri e semplici dettagli.

Arriviamo, tra una cazzata e l'altra, a destinazione che sono le 8 passate, non prima di esserci fermati a Tempio per comprare qualcosa da bere: un bottiglione da due litri di vino bianco, simil Tavernello, che si rivelerà essere sorprendentemente gustoso.



La cofana di insalata di riso.


Prendiamo posto lungo gli spalti, mangiamo l'insalata di riso, ci finiamo i due litrozzi e ci godiamo il concerto di Charlie Musselwhite Band, un po' ciucchi e sorprendentemente stanchi. Finito il tutto, ascoltiamo un paio di pezzi del gruppo successivo, Sax Gordon Band, ma non gliela si fà e decidiamo di levare le tende.

Il luogo prescelto per dormire è Palau:


 


nella vecchia Fortezza di Capo d'Orso.



Tipo così.



Nel caso ve lo steste chiedendo, la fortezza è scavata nella roccia e quelle nella foto, in mancanza di altre migliori, sono solo le mura e/o edifici minori. La nostra destinazione era in alto. In cima.



Ecco, lì.


Il posto è splendido, ma completamente abbandonato e sinceramente non c'è nessuna voglia di esplorarlo all'una di notte.
Percorriamo quindi la ripida salita che ci porta pressappoco dove c'è l'entrata e ci troviamo di fronte ad una porta.
Murata.
«Alex ma questa roba l'altra volta non c'era!»
«Hoybò ecchessuccesso!» risponde lui.
Mi volto e in mezzo al corridoio esterno, c'è un gigantesco albero di fico che blocca completamente il passaggio. Di entrare dentro passando da una finestra non se ne parla, perchè è buio e vabbè essere incoscienti ma a tutto c'è un cazzo di limite, sopratutto perchè c'è una paura fottuta di entrare.
«Anvedi aò, che posto fico!» esclama Celestino.
«Da paura!» risponde Attilio. (Sì, sono amici romani, nel caso vi fosse sorto il dubbio)
Inizio ad essere preoccupato, perché l'alternativa all'entrare dentro la fortezza del Barone Ashura a notte fonda (l'ultima volta che ci siamo stati, abbiamo scoperto che ci facevano messe sataniche) sarebbe dormire nelle catapecchie ai piedi della collina, che non hanno tetto ne, effettivamente, pavimento.
«Massicuramente c'è il passaggio» dice Alex.
«Eddove minchia è?» chiedo, con la vena che inizia a pulsarmi sulla tempia.
«Ecco vedi, questa è proprio una bella domanda».
«Ammazza aò»
«Che tajo»

Inizia ad essere tardi e visto che l'entrata non si trova, urgono rimedi drastici: SI SCALA UNA COLLINETTA COPERTA DI ROVI PER PASSARE DALL'ALTRA PARTE, SU UN PONTE.
Ponte, oddio. Due sbarre di acciaio arrugginito, incastrate fra le mura della fortezza.

La scalata è sorprendentemente semplice, nonostante ci sia gente che non fa ginnastica dal liceo (me) o è palesemente in imbarazzo con qualsiasi attività sportiva (gli altri), non fosse che una volta scalato il dosso, ci troviamo in mezzo ad una distesa di rovi taglientissimi; noi chiaramente indossiamo tutti i bermuda, quindi le simpatiche pianticelle ci scorticano allegramente le gambe, neanche fosse una delle trappole di Saw L'enigmista.
Alex a un certo punto decide che gli puzza la vita, inciampa e perde una scarpa; vorrebbe anche cadere giù per quei tre-quattro metri, sul duro cemento del terreno, ma fortunosamente si aggrappa ad un arbusto e finisce giusto completamente in mezzo ai rovi, scorticandosi ulteriormente.
Superiamo agilmente, come solo un branco di bradipi ubriachi può fare, le due travi arrugginite che fanno da ponticello e finalmente arriviamo in cima. Chiaramente non si vede un cazzo, ma per fortuna abbiamo le pile.



Tipo così, però di notte.


Cerchiamo un posto per passare la notte, dove non soffi necessariamente il vento assassino che c'è qui in cima, trovandolo in una delle vecchie postazioni per i cannoni della fortezza, un cerchio in pietra senza soffitto, con alcuni vecchi bulloni incastrati nel pavimento cementato.
Sistemiamo, chi i sacchi a pelo (i due romani), chi due semplici teli da mare (io e Alex) e il campo zingari è approntato. Io non ho felpa, essendomela dimenticata chiaramente nella fretta di fare lo zaino; ho recuperato un giacchetto primaverile bianco dal portabagagli dell'auto di Alex, diosolosa da quanto tempo era lì e entrambi dividiamo una coperta che sta iniziando a dotarsi autocoscienza, visto che, da che ricordo, è sempre stata dentro quel portabagagli dove risiedeva anche il giacchetto.



Il campo zingari.


Il cemento è duro, io appena appoggio la testa allo zaino (che ha la stessa morbidezza e spigolosità di un sacco di mattoni), inizio a russare come un mammalucco, ma tempo un'ora sono sveglio.
Provo a riaddormentarmi, ma c'è gente che russa. Riesco a riprendere sonno, ma s'alza il vento e c'ho un freddo fottuto perchè Alex si frega tutta la coperta.
Recupero la coperta, chiudo gli occhi e uno stormo di B52, in formato zanzara, inizia a pasteggiare col mio sangue. In un rosario di bestemmie che avrebbe fatto impallidire satana, infilo la testa sotto la coperta puzzolente, cerco di coprire tutti i pertugi e chiudo nuovamente gli occhi. Quando sento il ronzio di una di quelle fottute bestiaccie, passarmi accanto all'orecchio che è poggiato sul braccio (dormo di fianco, sì), sopra lo zaino, decido che, porca puttana, stanotte non è aria.
Guardo l'ora: le quattro del mattino.
Ho dormito la bellezza di due ore, non consecutive.
Mi alzo, prendo la pila e inizio ad esplorare i dintorni. Io sono un tipo abbastanza impressionabile, in genere, ma vuoi per l'ora, vuoi per il sonno, vuoi che eravamo all'aperto, vuoi che conoscevo già il posto, alla fine la passeggiata si rivela piacevole senza essere spaventella come mi sarei aspettato. Scopro anche che l'entrata che avevamo bellamente evitato, per giocare a fare i novelli Messner fra i rovi, era a circa 10 metri di distanza da dove abbiamo iniziato la scalata.
Si fanno le cinque e inizia ad albeggiare. Gli altri si svegliano e assieme ci godiamo una bella alba mentre ci pisciamo un po' dal freddo.
È tutto molto romantico.



Romantico.


Non appena il sole sorge, dismettiamo il campo zingari (mancavano solo le carcasse di qualche automobile, ma se fossimo rimasti qualche ora, sono convinto che si sarebbero materializzate pure quelle) e portiamo all'esplorazione gli amici romani fra i corridoi della Fortezza di Capo D'Orso.
Verso le sei scendiamo da Capo D'Orso, alla ricerca di un bar dove fare colazione, che incidentalmente si trova a circa trenta metri da dove abbiamo parcheggiato. Caffè, cornetto.
Si entra in bagno per darsi una rinfrescata ed io sono l'ultimo.
Scopro con orrore che c'è una puzza che farebbe impallidire un autospurgo e vengo poi a scoprire che quello prima di me ci aveva cacato.
Scappiamo dal bar prima che la puzza infetti tutto il locale e ci dirigiamo alla spiaggia.



La spiaggia di Capriccioli, è un ridente fazzoletto di sabbia e scogli tra Porto Cervo e Porto Rotondo, una delle calette più belle della zona, noto luogo di ritrovo per vacanzieri ricchi.














Capriccioli alle 8 del mattino Capriccioli alle 10 del mattino



Noi ci presentiamo lì che sono le otto del mattino, stanchi, sporchi e assonnati e la prima cosa che facciamo è occupare un quadrato di spiaggia che è praticamente il collegamento fra la parte ovest e quella est, impedendo, di fatto, il passaggio.
Ci rendiamo conto di ciò, non appena i simpatici senegalesi che vendono palloni, passano letteralmente facendo lo slalom fra i nostri asciugamani.
Decidiamo quindi di spostarci in un'altra zona.
Una volta ricalato l'asciugamano sulla spiaggia, che mi rendo conto in quel momento essere sporco di terra e fango dalla notte prima, la prima cosa che faccio è sdraiarmi e dormire, ora che l'aria è fresca e il sole non picchia come un wrestler professionista.
Riesco a strappare un'ora di sonno, prima che il caldo mi svegli ed è quindi d'uopo lanciarci in acqua.
L'unica cosa che noto di questa spiaggia, a parte che è bellissima, è che prevalentemente è popolata da vecchi o racchie che parlano in milanese. Una famiglia napoletana, con tanto di gerarca che ha la maglietta "I'm from Scampia" (true story), è a suo agio lì più o meno quanto noi. E mentre Io, Attilio e Alex cerchiamo qualcosa da fare, visto che di fighe da sguardonare manco a parlarne, Celestino fa amicizia con uno dei senegalesi e sparisce nella pineta dietro di noi. Non sapremo mai cosa ha realmente combinato lì dietro e, per mantenere intatta la nostra sanità mentale, non chiediamo nulla.
Il parcheggio è pagato fino alle undici, quindi verso mezzogiorno meno qualcosa, raccattiamo i nostri stracci, Celestino saluta il senegalese e siamo pronti per ripartire.
Destinazione: Porto Cervo. Missione: trovare un posto dove poter mangiare.
Dopo aver bighellonato per un po', riusciamo a trovare un parcheggio con un albero solitario che può darci un po' d'ombra; è l'una del pomeriggio, il sole è arrabbiato e pesta come un lottatore di MMA a cui hai dato dello stronzo e noi siamo seduti attorno a questo albero triste in cerca di ombra, a mangiare insalata di riso fatta il giorno prima e lasciata macerare dentro il portabagagli; Celestino e Attilio hanno la brillante idea di svuotarci dentro un intero tubetto di maionese, rendendola, di fatto immangiabile.
Finiamo quindi il lauto pasto e decidiamo cosa fare. Sono le due del pomeriggio e il caldo asfissiante non accenna a calare; l'unica cosa sensata da fare è dunque parcheggiare l'auto ed entrare a Porto Cervo per fare una passeggiata.

La prima cosa che ci colpisce, a parte il caldo assassino, è che non c'è l'ombra di una cartaccia per strada. La seconda, appena arrivati al porto, è il concessionario Rolls Royce, con tanto di due Rolls parcheggiate fuori, in esposizione e targate GB. Così, lo schiaffo alla povertà.
Lo yatch più piccolo ormeggiato è un dodici metri, la gente qui è composta da ricchi vestiti con Vuitton e Prada, ma indossati casual, che usano come abbigliamento da mare. Le donne ricche sono tutte fighe stellari, i troioni dell'est, con uno spacco di gambe che da solo è un metro e mezzo e i vestitini provocanti che ne risaltano le forme all'una del pomeriggio sono una realtà. Ragazzi con il Panama in testa, sicuramente firmato, la camicia Ralph Lauren e i mocassini blue scuro con i risvolti ocra, sembrano camminare e lasciare impronte d'oro dietro di sé.
Io mi guardo: ho gli stinchi completamente scarciofati dalla gita in mezzo ai rovi della notte prima, un paio di adidas bucate in due punti, con la suola che si sta staccando lungo tutto il lato interno e la parte superiore del tallone smangiucchiuata dai cani; una maglietta dei Simpson bucata sul d'avanti e dei bermuda militari che mi cadono perchè ho lasciato la cinghia a casa.
Alex sfoggia una canotta nera sudata dal collo in giù, braccia e gambe completamente sfigurate dopo la caduta sui rovi, il costume da bagno e un paio di scarpe strappate di dosso a uno zingaro.
Celestino indossa una maglietta grigio topo macchiata sul davanti di solodiosacosa, un costume da bagno modello bermuda a righe scolorite e delle scarpe sporche di terra.
L'unico vagamente presentabile è Attilio, con la sua canotta bianca semi immacolata, la paglietta in testa e il costume dai colori sobri.
Tutti noi, chiaramente, siamo sporchi di sabbia, salsedine e siamo sudati come le palle di un cammello.

La nostra presenza lì, spicca come uno stronzo sopra un divano bianco.

Celestino fa amicizia con due vecchie francesi che gli chiedono una foto (fotograferà un tre quarti con tanto cielo e un gabbiano di passaggio, tagliando i volti delle vecchie), noi girelliamo per negozi Prada, Ralph Lauren e Dolce & Gabbana.
Al porto c'è una esposizione di macchine operaie: una Bugatti Veyron (valore di listino 2 milioni di euro) fa bella mostra di sé, mentre poco più avanti una sfilza di Maserati di varie tipologie sono bellamente allineate sulla banchina (valore di listino: dai 100 ai 250 mila euro).
Noi si ride e si scherza, dicendo che manca il gancio traino per attaccarci la rulotte, provocando l'ilarità generale, mentre gli omini della sicurezza ci guardano malissimo.
 












Utilitarie per operai della Breda.

Scopriamo con nostra sopresa che a Porto Cervo è presente un SISA (una catena di supermercati sarda), una roba che mai mi sarei aspettato di trovare lì. Anche i ricchi fanno la spesa.
Decidiamo di entrare.
Mediamente, i prezzi sono il doppio rispetto a quelli di casa mia (che sono già abbastanza alti di loro). L'occhio cade su un acquario, dove sono presenti delle aragoste vive e degli astici, al modico prezzo di 159 euro al kg, cento euro in più rispetto ad Alghero.



Le aragoste proletarie.


L'unica cosa dal prezzo umano, qui dentro, è la coca cola, ma giusto perchè c'è il prezzo imposto marchiato a fuoco sull'etichetta, 1,89. La prendiamo fresca e per un momento temo che il sovrapprezzo sia di cinque euro, ma alla fine son solo pochi spicci. Usciamo, ammirando degli splendidi tappeti che costano dai 400 ai 600 euro, che li ho visti uguali identici dai senegalesi la mattina, in spiaggia, a un decimo del prezzo.

Sono le tre, il giro per Porto Cervo è finito e a noi non resta altro che risalire in macchina e fiondarci nuovamente in spiaggia.
Alex è alla ricerca di un posto nei ditorni chiamato Piccolo Pevero, una caletta rinomata per la sabbia bianchissima e l'acqua cristallina, ma il simpatico navigatore vorrebbe farci passare dentro una mulattiera con tanto di sbarra d'acciaio calata, un po' come i posti di blocco dei nazisti durante la seconda guerra mondiale.
Decidiamo di rinunciare e prendere una strada a caso. Dopotutto lì è pieno di calette.
Arriviamo in un posto che il simpatico parcheggino ci dice chiamarsi "Spiaggia del Principe" e cerchiamo parcheggio, trovandolo praticamente in mezzo alla strada a un paio di km di distanza.
Sotto il sole cocente ci mettiamo in marcia, arrivando a suddetta spiaggia, che scopriamo essere la versione proletaria di quella visitata quella mattina: ressa, tope, leggermente sporca (ma siamo sempre a Porto Cervo, non è che ci fossero carcasse di lavatrici buttate fra gli scogli), ma molto bella.
Ci ficchiamo in acqua senza tanti complimenti e bene così.
Verso le sei ci mettiamo nuovamente in marcia: l'idea sarebbe quella di trovare delle doccie per lavarci di dosso la sporcizia ed il sudore, cambiarci, e andare alla seconda serata dell'Aglientu Blues Festival.
Scambiando due parole col parcheggino, scopriamo che c'è un posto dove potremmo lavarci, ed è praticamente affianco a Capriccioli.
Torniamo nuovamente lì, paghiamo quei due euro e ci ficchiamo sotto la doccia (fredda), passandoci un bagnoschiuma comprato alla Lidl durante il tragitto, che dal colore e dall'odore, poteva benissimo essere detersivo per i piatti. Tutti tranne Celestino, che decide che l'acqua gli fa schifo e non vuole lavarsi (la scusa è che non ha il cambio).
Siamo rinati. 
Io metto sù la maglietta pulita (una t-shirt nera sfibrata, con la scritta "Sex Drugs & Rock n' Roll") e siamo di nuovo in pista.
Ci fermiamo nuovamente a Tempio, alla ricerca di un supermercato dove poter comprare qualcosa per la cena e troviamo un Eurospin che fa al caso nostro. Panini, affettato e maionese. Grand Gourmet.
Verso le otto torniamo ad Aglientu, con una bottiglia di simil prosecco dell'Eurospin e, puliti e pettinati, attendiamo l'avvio del secondo concerto, seduti in prima fila.
Alex e Attilio hanno sonno e vanno in auto a dormire con la raccomandazione di svegliarli non appena s'inizia. A me viene il cacatone, ma il cesso è impraticabile. Mi imbosco quindi dietro la colonna di un palazzo dalle ampie vetrate, forse un convento o una cosa del genere, comunque abitato e faccio quello che devo, temendo di essere visto, cosa che comunque non succede.


Il concerto inizia: BB & The Blues Shacks sono sul palco ed è subito festa. Alex e Attilio si perdono i primi due pezzi, ma ci raggiungono, mentre notiamo una tizia che già dal giorno prima avevamo intravisto: la versione femminile di Billy Ballo che, non appena sente un po' di musica, inizia, appunto a ballare. Da sola.
Noi la guardiamo pensando che la legge Basaglia abbia fatto davvero troppi danni, da quando è entrata in vigore.
Stappiamo il vino, finendolo in dieci minuti e pentendoci di non averne preso altro: era una serata che avrebbe meritato più alcol.
Verso le undici BB & The Blues Shacks ci abbandonano, per lasciare spazio, alla Italy Blues All Star, una specie di selezione di Bluesman italiani, famosi in europa e nel mondo. Roberto Luti, Mike Sponza, Marco Pandolfi e Max Lazzarin si esibiscono tutti sullo stesso palco, andando sovente fuori scaletta e improvvisando brani come se piovessero.
Una gran bel concerto.



Sotto al palco con la giacchetta bianca che ho usato per dormire.


La gente era talmente infogata (e bevuta), che hanno chiesto prima un bis, poi un tris, poi hanno costretto il fonico a riattaccare la corrente per farli continuare a suonare. In definitiva, doveva finire all'una di notte e se ne sono andati che erano le due passate.
(Nota di colore: mentre Roberto Luti improvvisava un assolo dei suoi, una testa di cazzo pelata gridava "FACCI BALLARE", rovinando lo spettacolo a tutti. Bravo, coglione.)


È tempo di levare le tende. Saliamo in macchina e, mestamente, ci dirigiamo verso casa.
Verso le quattro Alex si ferma per far benzina.
«Oh ragazzi, che giorno è il 22?»
«Venerdì, perchè?»
«C'è Pino Scotto a Tottubella»

...And the story is neverending.

lunedì 18 agosto 2014

Il potere e l'idiozia della rete.

Riporto qui un bel post di RRobe, ovvero Roberto Recchioni, che tratta una vicenda dai contorni surreali. Lo faccio perchè anche io, nel mio piccolo, vorrei diffondere questa notizia, oltre che apprezzo e supporto Nebo ed il suo blog. Cosa comporta oggi il potere della rete e quanto un giornalista può essere davvero libero, in questo paese?



"Di come GQ Magazine si sia calata le braghe davanti a Barbie e abbia licenziato Nebo solo perché ha fatto quello che loro gli hanno detto di fare.


Rispolvero il blog per una questione che mi sta a cuore. Partiamo dall'inizio:

qualche giorno fa, Nebo (Nicolò Zuliani), quello dei Bagni Proeliator, ha pubblicato un pezzo sul portale della rivista GQ Italia-GQ Magazine all'interno della sezione Underground
Il pezzo verteva sul pestaggio della pornoattrice Christy Mack da parte del suo ex-fidanzato, un lottatore professionista.
Il pezzo era il seguente:

Il suo ex lamassacra, la pornostar Christy Mack mette le foto su Twitter. E fanno il giro del mondo
L’aveva trovata con un altro. E giù con il massacro. Per fortuna, mentre lui cercava un coltello, lei è riuscita a scappare

Quando la ragazza nuda e coperta di sangue bussa alla porta gridando “whalaglalarglaah” nessuno si scompone. E’ venerdì notte, è agosto e siamo a Los Angeles. Potrebbe essere una studentessa ubriaca, una zombie walk, una trovata pubblicitaria, una nuova strategia di marketing. La gente quindi continua a farsi i fatti propri. Alla sesta porta un tizio si sta masturbando davanti a Youporn quando sente urlare “whalaglalarglaah”. Preoccupato sia la buoncostume apre la tendina e vede la stessa donna su cui si stava forgiando il bicipite. Certo, potrebbe essere una nuova pubblicità progresso contro la pirateria audiovisiva, ma nel dubbio l’onanista apre la porta.

Un’ora prima siamo nell’appartamento di lei.

C’è un ospite. Entrambi sono vestiti e stanno chiacchierando del più e del meno quando la porta esplode in un vortice di botte. Tavolini, divano, tende, finestre, tutto viene divelto a mani nude. Il novello demone della Tasmania raggiunge l’ospite maschile triturandolo di cazzotti prima che abbia il tempo di capire chi, cosa, perché.

Gonfio di botte come una zecca viene quindi lanciato fuori dall’appartamento. E’ il turno della padrona di casa che è appena riuscita a dire “forse hanno bussato”. Viene afferrata, spogliata, lanciata in una doccia e lavata a ceffoni. Questa centrifuga di violenza in Dolby Surround dura così a lungo che l’aggressore si stanca, va in cucina lasciando la donna tramortita e fa ritorno con un coltello, apparentemente intenzionato a cambiarle pettinatura. Lei tenta qualche resistenza, lui si fa strada pugnalandole mani, orecchie e parete della doccia, perché in certi casi non puoi mai sapere. L’operazione di rasatura riesce ma il coltello si spezza. L’uomo non si perde d’animo: getta il manico dell’arma, ne afferra la lama e continua a minacciarla. Nel frattempo le ruba il cellulare e spacciandosi per lei manda messaggi a tutti i contatti dicendo che per la settimana non sarà reperibile. Terminata l’operazione l’uomo si spoglia annunciando le sue intenzioni tipo i cartoni giapponesi anni ’80: qui però invece di urlare “fulmine di Pegasus” grida “stupro imminente”. Non succede perché il pene non va su. Nella vita di ogni uomo ci sono cilecche umilianti, ma questa le batte tutte perché la donna martoriata sul pavimento è Christy Mack, 33 anni, diva di successo nell’industria del porno. Confuso per la mancata erezione l’uomo giunge all’unica conclusione logica: è colpa di lei. Certo, qualunque eterosessuale sulla Terra si trascinerebbe nudo su un tappeto di vetri rotti solo per poter sentire un peto di questa dea trasmesso da un walkie talkie, ma se il pene di mister Stupratron non funziona è colpa di lei. Si dirige quindi in cucina a caccia di un coltello più solido o comunque qualcosa di non moscio. E’ a questo punto che Christy, ormai ridotta ad hamburger, fugge. Il giorno dopo posta su Twitter le foto di com’è ridotta e la sua versione dei fatti.La versione di lui è più breve e concisa: “Volevo farle una sorpresa, aiutarla a prepararsi per lo show e darle l’anello di fidanzamento. E’ finita con me che lottavo per salvarmi la vita”, ha dichiarato sul suo profilo Twitter. Di sicuro la parte della sorpresa è riuscita, sulla legittima difesa invece bisogna riflettere. Lui si chiama Jonathan Koppenhaver, da tutti conosciuto con lo sbarazzino soprannome di “war machine”. Fa incontri di MMA, uno sport che consiste nel chiuderti in una gabbia a massacrarti di botte fermandoti un istante prima che t’ammazzino (cosa che non sempre accade). Figlio di un poliziotto infartato e di una madre tossica, adolescenza traumatica, espulso dal college perché menava la gente,Jonathan ha frequentato la galera un paio di volte perché, indovina indovinello, ha menato gente. Oggi ha 33 anni, 77 chili di soli muscoli, la faccia di un prosciutto, pesta gente di lavoro in qualunque lega professionale. Christy invece è unaex tatuatrice che pesa 48 chili. Difficile immaginare un conflitto fisico tra questi due con un finale diverso dal massacro uterino.
Jonathan comunque aggiunge che “i poliziotti non mi crederanno mai. Devo decidere cosa fare, alla fine ho solo il cuore spezzato”. Sì, Christy stando al referto medico ha 18 ossa del volto frantumate, il naso rotto in due punti, una costola fratturata, svariate emorragie interne, denti spezzati o mancanti e per il momento è cieca dall’occhio sinistro e non può camminare… Però sappiamo quanto un cuore spezzato faccia soffrire.
Dopotutto, lei si era anche tatuata sulla schiena “proprietà di War machine”. Non è che ti puoi tatuare una roba così e mollarlo, dopo.
A tutt’oggi questo portentoso esempio di uomo che sulla maglietta esibisce la scritta “faccio robe da maschio alfa” è latitante con una taglia di 10,000 dollari sulla testa. Citando “Pain and gain”, forse l’unica colpa di War machine è quella per cui non lo condanneranno: essere un povero coglione. Ma del resto se l’idiozia fosse un crimine l’America sarebbe un’unica, grande prigione.

Adesso, io di Nebo ho una grandissima stima come scrittore, ma i suoi pezzi scritti per la sezione "nera" di GQ, non mi hanno mai fatto impazzire e gliel'ho detto con il mio tradizionale tatto (risate registrate).
Mi sono sempre sembrati articoli privi della sua consuetà spontaneità e poco sentiti, come se Nebo fosse costretto a recitare la parte dell'hater volgare e provocatore per contratto e, sorpresa, avevo ragione.

Perché Nebo, come ho avuto modo di appurare in seguito, è stato tirato a bordo della ciurma di GQ con la richiesta esplicita di scrivere pezzi "pulp", sanguinolenti, di cattivo gusto, volgari, che suscitassero polemica.
Pezzi tosti per la sezione "tosta" (altre risate registrate)  di quel trionfo del  metro-sexual che è GQ.
Del resto, basta vedere l'header del blog di Nebo o leggere i suoi pezzi o il suo libro, per capire che è la persona adatta per un lavoro del genere.
Fatto sta che quello gli hanno chiesto e quello Nebo gli ha dato.
Fino a ieri.
Fino a quando, cioè, Nebo non è stato licenziato.

Perché?
Perché la Yotuber Barbie Xanax ha caricato un video in cui criticava molto aspramente il pezzo di Nebo, additandolo come offensivo per la vittima (dimostrando una certa mancanza di capacità elementari nella comprensione di un testo).
Adesso, sapete cosa succede qundo uno Youtuber da migliaia e migliaia si visualizzazioni si scaglia contro qualcuno?
Succede la Jihad, ecco quello che succede.
La redazione di GQ è stata invasa dai commenti moralisti dei follower di Barbie Xanax e il risultato è stato che il vice direttore di GQ ha fatto rimuovere il pezzo, ha preteso delle scusa formali e pubbliche da Nebo, e poi lo ha sospeso qualsiasi collaborazione con lui.
Per sempre.

Cosa c'è di sbagliato in questa storia?
L'intervento di Barbie Xanax?
No, quello ha solo delle implicazioni sociali spaventose, ma è del tutto lecito.
Ognuno ha il diritto a esprimere le sue opinioni, per quanto stupide o bigotte o prive di qualsiasi barlume di consapevolezza possano essere.
Ed è lecito pure che i follower di Barbie Xanax abbiano fatto quello che hanno fatto.
Anche questa cosa ha implicazioni sociali terrificanti ma, ripeto, è giusto ed è bello che ognuno abbia il diritto di aprire bocca e dimostrare la sua ignoranza.
Quello che, invece, è meno sensato, è che davanti allo scontento (ripeto: lecito) di taluni, un giornale si rifaccia sul giornalista.

Perché Nebo non ha pubblicato quel pezzo caricandolo da solo sui server del sito GQ.
Nebo quel pezzo lo ha scritto seguendo le liee guida che gli erano state date.
Nebo quel pezzo lo ha mandato a un capo redattore che lo ha letto, REVISIONATO e APPROVATO.
Quel capo redattore ha pubblicato quel pezzo con l'avallo del vice direttore della rivista cartacea che è pure il direttore del sito.
E quel vice direttore opera sulla base della fiducia di un direttore responsabile.

Si chiama proprio così: direttore RESPONSABILE.
E scondo voi cosa significa quella parola tutta in maiuscolo?
Significa che dopo che un pezzo è stato approvato e pubblicato, i cazzi sono i suoi, non del giornalista.
Perché gli editori hanno uffici legali appositi proprio per tutelare i loro giornalisti.
Ma visto che le cause legali costano, spetta al direttore responsabile decidere cosa può essere pubblicato, cosa no, e per cosa vale la pena correre il rischio.
Se arriva qualche grana, è il vice direttore e il direttore che ne devono rispondere. E, in ultima istanza, l'ufficio legale dell'editore (e l'editore stesso, se le cose vanno proprio male).
Adesso mipiacerebbe tancor che qualcuno mi spiegasse:

A) che razza di rivista è quella che si fa intimidere da una youtuber e dal suo pubblico, fino ad arrivare al punto di rimuovere un articolo e licenziare chi lo ha scritto?

B) a che serve un capo redattore, un vice direttore e un direttore, se poi nessuno si prende la responsabilità di cosa esce sul giornale?

C) Che razza di editore è quello che  non solo non difende le sue scelte editoriali, ma getta ai pesci un suo collaboratore per aver scritto ESATTAMENTE i pezzi che gli ha chiesto di scrivere, costringendolo pure a pubblicare scuse pubbliche?

Sono tre domande interessanti a cui mi piacerebbe che il signor Alessandro Scarano (giornalista presso l'edizione italiana di GQ.com, con responsabilità di coordinamento delle attività editoriali del sito), Carlo Annese (Vice direttore del mensile GQ, e RESPONSABILE del sito web e dell'iPad digital replica) e Carlo Antonelli (direttore del mensile) dessero una risposta.

p.s.
(a margine: ma quanto è invecchiata Barbie Xanax?!?)"



(FONTE: http://prontoallaresa.blogspot.it/2014/08/di-come-gq-magazine-si-sia-calata-le.html)



P.S. (mio): Triste constatare come la Xanax, una volta fattole notare come abbia sostanzialmente pisciato fuori dal vaso con questa faccenda, si sia prima barricata dietro rispostacce acide e poi sia puntualmente sbroccata, bannando me e altri dalla sua pagina Facebook e cancellando i commenti. Direi che certe azioni si commentano da sole.




 

lunedì 11 agosto 2014

La wovokata

Anni fa giocavo di ruolo on line.
Cioè, ci gioco ancora, ma anni fa interpretavo un personaggio chiamato Wovoka.
Mi piaceva Wovoka. Era una specie di sciamano barbaro, agghindato con una pelliccia d'orso sulle spalle ed era il curatore del gruppo.
Un giorno ci si ritrova su una nave, per ispezionarla. La nave è della marina reale, nessun cattivo in vista, solo che noi siamo lì per capire esattamente cosa stanno combinando qui sopra, visto che, a quanto pare, sperimentano un nuovo tipo di arma chiamata "Polvere". Ci accolgono degli inquietanti personaggi completamente bardati con pesanti abiti in pelle, che li ricoprono totalmente da capo a piedi, a mò di protezione e ci viene quindi spiegato che l'uso della polvere è altamente nocivo per l'organismo e sopratutto suscettibile a forze magiche, quindi è espressamente vietato eseguire magie.
Tenete bene in mente questo.
Il nostro gruppo continua ad ispezionare la nave fino a capitare nei laboratori; gli scienziate lì presenti non vogliono ovviamente farci entrare, visto che l'aria è satura di Polvere e sarebbe pericoloso; noi insistiamo ma loro sembrano irremovibili.
"Qui gatta ci cova" pensa Wovoka.
Ed è a quel punto esegue un incantesimo di Identificazione, per capire esattamente di cosa è composta questa polvere, questo mentre gli scienziati si erano quasi convinti a lasciarci entrare, opportunamente bardati e protetti.

L'esplosione è devastante. Sventra a metà la nave, ma per puro caso (e per bontà del master), non ci sono vittime. A parte ovviamente il nostro gruppo che era l'unico a non essere opportunamente protetto dagli effetti della polvere. Risultato: eravamo tutti stati infettati con una malattia che essenzialmente ci avrebbe risucchiato l'anima (e quindi ucciso) entro poche settimane.

Da allora, ogni volta che un personaggio esegue un'azione idiota come feci io con Wovoka, ignorando bellamente il master, è detta Wovocata.

Avanti veloce, ieri notte.

Da due settimane si parla di andare in Spring Breakers. Trattasi essenzialmente di prendere la macchina, me e i miei amici, e mettersi in viaggio per visitare luoghi abbandonati su e giù per la Sardegna. È un passatempo divertente.


 

















 
  Tipo così.
   


Qualche settimana fa ci viene L'IDEA: andiamo in Spring Breakers. Dove? Ma si dai torniamo al vecchio ospedale abbandonato di San Leonardo. Ma è un posto che abbiamo già visitato, testa. Non c'è problema, perchè ecco il colpo di genio: CI ANDIAMO DI NOTTE.
Wov sì, ottima pensata.
E quindi eccoci qui, pronti per l'ennesimo Spring Breaker, ma stavolta di notte, in un luogo abbandonato distante un'ora e mezza di auto.
COSA POTRA' MAI ACCADERE?
 















   
   Il percorso.  


Ci si prepara con due mezzi. Stavolta al posto delle solite quattro-cinque persone, siamo ben in dieci, anche se poi uno ci bidonerà la mattina stessa. Partenza fissata ore 19:00.
Io esco di casa una mezzoretta prima, faccio il pieno di gas, poi inizia il giro di raccolta. Iniziano a volare le prime stronzate, poi si fa la spesa (una cassa di birra e qualche tramezzino per il viaggio) e via che si va, mentre il cielo inizia ad imbrunire.















   
  L'inizio della tragedia.  


Arriviamo a San Leonardo che sono le 10 e la prima tappa è il bar del paese, chiaramente. Io esco dalla macchina e mi attardo per sistemare alcune birre nella borsa frigo.
Apro quindi il portabagagli, sistemo il tutto (ché le birre sono importanti), poi raggiungo gli altri a lato della strada.

Poi c'è quel momento.
Quel momento in cui ti stai perfettamente rendendo conto di cosa è successo, ma ancora non vuoi crederci.
Quel momento in cui REALIZZI.
In cui sbianchi, il cuore inizia a battere pesantemente nel petto, e la sudorazione si fa copiosa.
Quel momento.
Il momento della Wovocata.

"Andre cos'hai?" chiede un'amica, ingenua.

Io la guardo. Guardo tutti.
"Ho lasciato le chiavi della macchina dentro il portabagagli".

 















   
     

C'è chi sfotte, chi propone, chi sdrammatizza (in effetti questo no). Qualcuno butta lì di spaccare il vetro "che tanto hai la Casco, che ti frega", qualcun'altro di far forza sul finestrino che sicuramente s'abbasserà (credici).
Finiamo la birra si prova a forzare il finestrino ma niente.
"C'è solo una cosa da fare: andare a prendere le chiavi di riserva. A casa."
"Non puoi chiamare tipo tuo fratello e fartele portare?"
"Piuttosto che chiedere qualcosa a lui, me la faccio a piedi."

E quindi mi faccio prestare l'altra auto, stereo a palla, il mio amico P. che mi fa compagnia e via che si torna.
Tre ore di auto ininterrotte, quasi 500km di strada fatti in una sola sera, 30 euro di benzina buttati dentro il cesso: ecco come ho passato la serata.
E questo mentre gli altri, ovviamente si divertivano e si terrorizzavano durante la visita all'ospedale abbandonato.
 



















     
 I ghost hunters all'opera. Notate la mia assenza.  Oggetti inquietanti al buio che io non ho visto.  Scale che mettono una strizza che io non ho provato.    


 















     
Il letto con la rosa poggiata sul cuscino che mi sono perso. Ragni delle tenebre che io non ho visionato.  Altre cose inquietanti a cui non ho assistito.

 
Però dai, in fin dei conti è andata bene, tutto sommato: sono sicuro che gli altri si sono divertiti un botto.