lunedì 15 dicembre 2014

Per quei pochi che sono in ascolto

No, vi giuro che non sono morto.
È un periodo un po' del cazzo ma, spero di riprendere al più presto.
Nel frattempo, in culo ai lupi.

mercoledì 12 novembre 2014

Friendzone.

La piaga della friendzone è davvero troppo, troppo diffusa.

Però ecco, io mi sento in qualche modo di dire che non tutte le donne son così o comunque lo fanno apposta: a tutti fa piacere ricevere complimenti (ai maschi, come alle femmine) ed a tutti fa piacere sentirsi desiderati.

È che spesso, davvero molto più di quanto ci si creda le donne non capiscono cosa stanno facendo. Magari si accorgono che noi ci stiamo perdendo il culo, questo sì, però continuano a pensare che "oramai è passato del tempo, sarà passata anche a lui questa cottarella", perchè siete già entrati nella cerchia degli amici e una volta lì è difficile uscirne. Per carità ci sono alcuni escrementi che lo fanno apposta, per avere il tiramisù (per puro egocentrismo o perchè una storia è finita male o perchè in quel periodo non hanno cazzi per la testa o semplicemente perchè non gli interessate) perchè, ripeto, a tutti fa piacere sentirsi desiderati. È che bisogna distinguere fra quelle che lo fanno consapevolmente e con malizia, che sono il male assoluto, e quelle che proprio non si rendono conto e vogliono solo un amico, un abbraccio ogni tanto e una parola gentile.

Ho un sacco di amiche, da alcune sono stato friendzonato, con altre ho friendzonato io, eppure le donne continuanano a non capire che un uomo, potendo, si scoperebbe anche una sua amica, mentre per una donna questo sarebbe impensabile.

lunedì 10 novembre 2014

Essere single

Essere single da tanto tempo, trasforma il tuo modo di pensare. È come se perdessi uno dei filtri (o tutti) che ti impediscono di dire stronzate in mezzo alla gente.
Tipo: «Questi pantaloni ti fanno proprio un bel culo». Una cosa che prima avresti solo pensato, ti ritrovi a dirla ad alta voce provocando imbarazzo nelle persone. La cosa bella è che lo stesso motivo per cui si dicono, senza freni, certe cose, ti impedisce di provare vergogna o remore morali.
Battute razziste, apprezzamenti pesanti, risposte acide.
Le donne hanno questo potere su di noi: ingentilirci.
Penso che questa cosa valga anche per l'altro sesso, ma non ne sono sicuro.
È uno strano meccanismo quello che regola i non rapporti; che essere single per tanto tempo finisce, in un modo o nell'altro, per allontanarti dalle altre persone. Che va benissimo se non sei interessato ad una relazione, ma non va affatto bene se invece vorresti averla e non ci riesci perchè la mancanza di filtri fa aumentare la distanza con altri eventuali partner. A meno, ovviamente, di non trovare una persona che apprezzi l'essere sboccati, che è interessata a questo lato di voi che non prevede l'approccio con il resto dell'umanità.
Non so se vedete il cortocircuito: nel caso trovaste una persona così, finireste per ingentilirvi di nuovo e perdere quello che originariamente, all'altra persona, interessava o incuriosiva o che comunque vi ha portato a farvi conoscere e frequentare.

Siamo dei primati molto strani.

mercoledì 15 ottobre 2014

Surrealtà

Oggi sono andato a fare la spesa.
Durante la fila in cassa, la cassiera, una donna sulla trentina, adocchia un bambino piangente, avrà avuto due anni e con un sorriso da capogiro dice: «Oh ma che bel bambino come mai piangi?»
Ed il bambino coi lacrimoni, risponde con sicuro: «VAFFANCULO!»
Scende il gelo: la cassiera era basita, mentre la madre del pupo arrossiva visibilmente imbarazzata, ed io che intanto sghignazzavo di gusto.
Ah, 'sti bambini moderni.

venerdì 10 ottobre 2014

[RECENSIONI] Invasione, di Harry Turtledove

Riciclo un articolo apparso su Lega Nerd (qui) e scritto da me medesimo svariato tempo fa. Non è impostato come i le recensioni che faccio di solito qui, ma abbiate un attimo di pazienza, visto che è stato scritto svariato tempo prima che anche solo pensassi di aprire questo blog.

Invasione - La Saga


Il Ciclo dell'Invasione è un'opera di uno specialista del genere: Harry Turtledove, che forse qualcuno conoscerà per la saga della Legione Perduta o per quella di Krisposs. Si tratta di una storia Ucronica, ovvero un gigantesco "What If..." di Marvelliana memoria: cosa sarebbe successo se degli alieni rettiliformi avessero provato ad invadere la terra durante la seconda guerra mondiale?

La storia in breve (può contenere spoiler)

Siamo nel '41, nel pieno della Seconda Guerra Mondiale. Le armate tedesche stanno invadendo la Russia, hanno conquistato la Polonia e reso schiavi gli ebrei nel ghetto, il Giappone ha appena attaccato Pearl Harbor lasciando completamente sguarniti gli Americani che stanno per entrare in guerra; gli inglesi sono nel pieno del conflitto dopo essere stati bombardati dai tedeschi, la Francia è occupata dai nazisti, il mondo (o almeno buona parte di esso) è in guerra. L'umanità è ignara che nello spazio una flotta di navi sta studiando la situazione: essi si riferiscono a loro come "La Razza", e sono degli esseri rettiliformi alti all'incirca 140 centimetri e dotati di tecnologia avanzatissima. Sono una flotta d’invasione, mandata sulla terra dal pianeta Tau-Ceti per conquistarlo nella gloria dell'imperatore. Qualcosa però ha frenato l'entusiasmo di questi esseri e siamo noi umani: la prima sonda inviata nella terra infatti risale a 800 anni prima e sembra impossibile per questi lucertoloni che l'umanità (o i Toseviti, come veniamo chiamati) si sia evoluta così tanto nel giro di così poco tempo. L'indecisione è tanta e dopo sei mesi di monitoraggio, il Signore della Flotta Atvar prende la sua decisione, non volendo tornare in patria un fallimento sulle spalle. Facendo detonare alcune testate atomiche nell'atmosfera ed annientando così la rete comunicativa umana, l'invasione ha dunque inizio.

La storia segue le vicende di un gran numero di personaggi: da una parte abbiamo gli umani, rappresentati da alcuni giocatori di baseball americani che vengono arruolati dall'esercito per combattere, un gruppo di carristi tedeschi impegnati sul fronte russo, un'aviatrice Russa a bordo del suo biplano, l'equipaggio di un bombardiere inglese, un radarista inglese di origini ebree, un ebro polacco del ghetto di Varsavia, un fisico del progetto Manhattan e una contadina cinese. Dall'altra seguiamo le vicende all'interno della Razza stessa, con il signore della flotta Atvar, un conducente di blindato di stanza nel territorio russo, un aviatore impegnato sul fronte giapponese, il capo dello spionaggio alieno e alcuni scienziati che studiano questo strano e contraddittorio mondo che è Tosev 3, la Terra. La guerra si trascina a fasi alterne ed anche se La Razza è sempre in vantaggio grazie alla superiorità tecnologica, i terrestri, dapprima disorientati, creano nuove alleanze anche insospettabili (nazisti che aiutano gli inglesi, giapponesi che vanno in soccorso dei cinesi e via dicendo), facendo fronte comune contro questa nuova e terribile minaccia, avendo dalla loro parte la conoscenza del pianeta ed una superiore capacità di guerra e guerriglia ed usando tattiche e trucchi sconosciuti agli alieni riescono a resistere nonostante tutto ed a non darsi per vinti, combattendo una guerra senza quartiere contro la nuova minaccia venuta dall’alto che sembra invincibile ed inarrestabile. Gli alieni, d’altro canto, hanno le loro debolezze sia nel sistema gerarchico antiquato e poco propenso alle novità, sia dall’arrivo sulla terra, trovandosi in un pianeta dal clima inospitale per le loro abitudini che per altre piccole debolezze (tipicamente umane mi verrebbe da dire) con cui vengono quasi contagiati durante gli anni della guerra.

Stile e scrittura


La saga è di medio/alta lunghezza, sono 4 libri di circa 5-600 pagine l’uno; non è un grosso problema, perché Turtledove scrive in modo scorrevole e pur non avendo guizzi particolari, non è difficile seguire le vicende anche per il modo semplice in cui vengono tratteggiati i vari passaggi. Il tutto è narrato seguendo le vicende in terza persona di vari personaggi nei più disparati fronti di guerra, sia sul versante umano, che su quello alieno. I colpi di scena sono tanti anche se non esagerati: la storia della Seconda Guerra Mondiale viene completamente riscritta in base al nuovo scenario creando nuovi ed interessanti intrecci. Il lettore è invogliato a proseguire nella lettura proprio per sapere cosa succederà e chi arriverà prima, fra le varie nazioni in gioco, agli obiettivi (la difesa del territorio, la costruzione di nuove armi per fronteggiare la superiorità tecnologica aliena, la costruzione di ordigni nucleari), quasi come fosse una partita di Risiko, mentre è allo stesso modo interessante conoscere l’organizzazione sociale di questi alieni, come si riproducono o come sono organizzati socialmente. Un tocco di classe è dato dai personaggi che muovendosi in un contesto storico, incontrano figure realmente esistite (il Dottor Fermi o Stalin per esempio); nel corso della saga, al nucleo di personaggi iniziali si aggiungono altre figure, alcune anche realmente esistite che aggiungono quel quid in più. Il grosso difetto che ho comunque trovato è che i protagonisti sono poco caratterizzati: sembra che l’autore abbia voluto concentrarsi più sulla narrazione in se piuttosto che sui personaggi e questo, se da una parte favorisce la trama ed il susseguirsi degli avvenimenti, dall’altra ci dà delle figure poco incisive per la maggior parte, benché alcune di esse siano tratteggiate abbastanza bene (il carrista tedesco, per esempio).

Conclusioni


Invasione è una saga che mi sento di consigliare agli amanti della fantascienza classica in primis e degli amanti dei What If. E’ una serie che trovo altamente nerd sia per il tema trattato, sia per il tipo di nemici presentati (i lucertoloni sono un chiarissimo omaggio ad una fantascienza vecchia di 70 anni, ma non per questo meno godibile ai giorni nostri), scritta discretamente e che suscita curiosità. Si vuole sempre sapere chi farà cosa di diverso rispetto alla Storia e le sorprese sono tante e gradite. Forse non sarà semplice trovarla in italiano (io personalmente ho dovuto cercare un po’, riuscendo poi ad acquistare su e-bay tutti i volumi di seconda mano) però se si ha una quarantina di euro da spendere, è un buon acquisto. Non eccezionale forse, ma buono.

Voto 7/10


Invasione
Autore: Harry Turtledove
Editore: TEA
Prezzo: € 8.50 a volume
Volumi: 4.
A questi volumi dell'Invasione segue una seconda saga, sempre di quattro libri chiamata Colonizzazione. Appena riuscirò a metterci le mani sopra recensirò anche quella.

venerdì 3 ottobre 2014

Come ritrovarsi in due a fare contemporaneamente una figura di merda:
incrociare un tizio che vi ferma e vi riconosce; partono grandi saluti, strette di mano, pacche sulle spalle e frasi di circostanza, chiedendo del più e del meno. Lo si asseconda nonostante non si abbia la più pallida idea di chi sia e dopo un pò che si parla sentirsi chiedere:
"Ma tu sei tizio?"
"Certo che no, non sono io"

... E a quel punto andarsene entrambi con un "Và bè ciao"  "Ciao".

Son cose.

Leggendo vecchi sms sulla vecchia scheda sim, si scoprono chicche come questa:

"Dopo aver visto il filmato di due parti, uno vaginale ed uno cesareo, mi è passata la voglia di figa da qui ad un mese."

Eh, son cose.

PS: dopo aver letto questo vecchio sms ed averci riso, mi son ricordato del filmato e mi sta di nuovo passando la voglia di figa per un altro mese.
Eh, son cose.

lunedì 1 settembre 2014

[RECENSIONI] The Heroes, di Joe Abercrombie

Proseguo nella rubrica, con un libro acquistato l'anno scorso, ma che mi ha colpito come un'accettata nel petto, facendolo rapidamente salire nella mia personale classifica di bei libri.






























LA SCHEDA
Titolo: The Heroes
Autore: Joe Abercrombie
Prezzo: 17,90 copertina rigida;
12,00 copertina flessibile
(ma al solito Amazon fa gli sconti)
Pubblicazione Italia: 2012
Pagine: 716
Traduttore: C. Costantini, S. Vischi
Editore: Gargoyle

LA TRAMA (Senza spoiler)
Su un anonima collina, chiamata Gli Eroi, un gruppo di "Nominati", guerrieri del del nord, s'incontra con una pattuglia di soldati dell'Unione. Fra le due nazioni è guerra già da un po' e questo incontro, pur senza versare una sola goccia di sangue, farà confluire i due eserciti proprio in quel buco di culo di luogo, insignificante sulla mappa, ma che d'un tratto diventa la chiave di volta di tutta la guerra. Facciamo la conoscenza di vari personaggi e tra intrighi, battaglie e scontri, tutte le loro storie si intrecceranno, durante tre giorni campali, sui quali si deciderà (forse) il destino di due nazioni.

COMMENTO

Come Gli Inganni di Locke Lamora, The Heroes non è il classico romanzo fantasy. Anzi credo che sia un fantasy così atipico, così singolare, da essere lontanissimo dal genere. Eppure rimane un fantasy e dannatamente ben scritto, per giunta.
Abercrombie si diverte un mondo a prendere i classici topoi del genere e stuprarli con forza. Una cosa che già fa Martin con Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco (o Game of Thrones se guardate la serie tv), ma che a questo giovane inglese riesce con particolare semplicità.
Provate a immaginare un classico stereotipo del fantasy; in questo libro (come negli altri libri di Abercrombie) c'è. Completamente stravolto.
Il principe decaduto che cerca il riscatto? C'è, ma è un vile e un codardo.
Il possente guerriero? C'è, ma è un pervertito con grossissimi complessi.
Il ragazzino con i sogni di guerra? C'è, ma è un coglione.
La giovane donna furba come una lince? C'è, ma è anche una stronza assetata di potere.
Il vecchio soldato stanco e disilluso? C'è, ma è forse il più nobile di tutti gli altri personaggi.

La bravura di Abercrombie è nel saper tratteggiare questi personaggi, non per renderli simpatici (Calder lo odierete dalla prima all'ultima pagina), ma per renderli REALISTICI. Talmente "veri" che bucano le pagine, tanto che penserete che sia gente che conoscete, alcuni, forse, addirittura vecchi amici.
Non ci sono eroi, solo uomini, a volte animati da buone intenzioni ma spesso fallibili, così come ci sono codardi, inetti, sanguinari. Una varietà di personaggi che mozza il fiato, tanto sono profondi alcuni, con i loro pensieri e le loro considerazioni. O anche solo se si tratta di salvarsi la pelle.
Così come sono realistici i personaggi, è realistica la guerra: non c'è niente di epico in un soldato che raccoglie le proprie budella aperte da un'accettata, così come non c'è niente di epico quando partono per sbaglio frecce che colpiscono gli alleati. La guerra è una cosa sporca, lurida, mostruosa e Abercrombie non fa nulla per alleggerirne il peso. Le battaglie sono descritte con dovizia di particolari, le cariche sono realistiche.
Non c'è traccia di magia in questo libro (anche se compare un mago), solo sangue, sudore e armi bianche. Non solo: lo stile è così fluido che le 700 pagine voleranno, quasi senza che ve ne accorgiate. I colpi di scena sono dietro l'angolo, sopratutto dalla seconda metà in poi e ad un certo punto, può davvero accadere di tutto.
Pur facendo parte di un ciclo, The Heroes è un libro che può benissimo leggersi a sé stante. Abercrombie ha scritto per primo una trilogia (The First Law), poi alcuni side books (per così dire), ambientati nel medesimo universo e che condividono alcuni personaggi minori, ma che sono completamente fruibili a sé stanti. The Heroes è appunto uno di questi.
Un appunto, sull'edizione italiana: la traduzione è veramente ben fatta.

Consiglio questo libro innanzitutto a chi ama i romanzi scritti bene. I suoi punti di forza sono i personaggi ben tratteggiati, le grandi battaglie e una certa crudezza, che a me personalmente non ha disturbato, ma che potrebbe impressionare forse qualcuno. Per chi ama il fantasy, credo sia una lettura obbligatoria, ma è decisamente fruibile anche per chi non mastica il genere. Davvero un'ottima prova.

ULTIMA PAROLA DEL LIBRO: Aspetta!

VOTO: 9/10

SECONDA DI COPERTINA
Bremer dan Gorst, maestro di spade caduto in disgrazia, ha giurato di reclamare sul campo di battaglia l'onore perduto. È ossessionato dalla redenzione e assetato di violenza, dunque non gli importa molto di quanto sangue scorrerà, anche se si trattasse del proprio. Il Principe Calder non ha alcun interesse per l'onore e di certo non ha intenzione di finire ammazzato. Tutto quello che vuole è il potere, e si servirà di qualsiasi bugia ed espediente, tradirà tutti gli amici per raggiungerlo. Almeno sino a quando non sarà lui a dover combattere. Curden lo Strozzato, l'ultimo uomo onesto rimasto al Nord, ha dedicato la sua vita all'arte della guerra, ricavandone solo ginocchia gonfie e nervi logori. Non gli importa nemmeno più chi sia a vincere, vuole soltanto fare la cosa giusta. Ma è possibile individuarla nel mondo che gli sta crollando intorno? Il destino del Nord sarà deciso da tre sanguinosi giorni di battaglia. Ma con entrambi gli schieramenti corrotti da intrighi, debolezze, ostilità e meschine gelosie, è improbabile che siano i cuori più nobili o anche le armi più potenti a prevalere.

Record.

*DRIIIIN*
Mia madre, dal piano di sopra apre, credendo sia mio padre. Nessuno entra. Lei caccia un urlo: «ANDREEE VAI A VEDERE CHI È»
Un rosario di bestemmie, visto che sto bevendo il caffè.
Scendo, apro e mi trovo due donne: una con la stessa stazza e consistenza di uno scaldabagno e l'altra secca secca, sembra un biscotto senza amido.
«Si?»
Lo scaldabagno tira fuori un iPad inizia a premerci su, con quell'aria tremula e insicura, come solo le persone di una certa età sanno fare e, contemporaneamente inizia a parlare:«Salve signore, vorremmo mostrarle un video, sono solo tre minuti» Fa un sorrisone.
Io le guardo: in mano hanno una cartelletta nera a testa. Chi mai può essere alle 9 e mezza del mattino?
«Ma che siete, testimoni di Geova?»
La tipa fa una faccia come se le avessero schiacciato la coda (che, sono sicuro, portava arrotolata dentro le mutande). «Sì, siamo testimoni di Geova, ma è solo per farle vedere un video...»
«No guardi non ci interessa. Qui siamo tutti atei».
Lei a questo punto SPALANCA LA BOCCA ATTERRITA. «Oh».
«Beh, buongiorno»
Riesco a sentire un timido sussurro che suonava tipo «...'giorno» prima di chiudere il portone.

Sono riuscito a sbarazzarmi dei testimoni di Geova in meno di 2 minuti.
Mi sa che ho stabilito un record.

giovedì 28 agosto 2014

Basterds on the road

Sto giocando ad una vecchia gloria del PC, Caesar 4, quando mi arriva un messaggio da Alex: "Stasera si va ad Aglientu".
Nella mia testa si forma vivida un'immagine: me, il sabato prima, vagamente ubriaco, che affermo che sarebbe un idea favolosa andarci. "Ma certo, stai tranquillo, preparo io da mangiare".
D'ho.
Metto sù una cofana di riso per quattro persone, recupero qualche barattolo da casa, poi preparo in fretta e furia lo zaino, visto che Alex sarebbe passato a prendermi alle cinque.
Verso le sei sento il suono familiare del clacson, e io mi sto asciugando dalla doccia appena fatta. Il riso è pronto, anche se in realtà devo ancora mettere qualche ingrediente e lo zaino è fatto per metà. Finisco tutto in tempo di record e, con la barba ancora gocciolante, salgo in auto. Mi accolgono Alex e i due amici romani, Celestino e Attilio (nomi di fantasia).

Destinazione Aglientu, per il Summer Blues Festival.


 
Il percorso



In auto, oltre la mia insalata di riso fatta con materiali di fortuna, ci sono 4 litri di birra dell'eurospin con bottiglia di plastica, residuo di una cena a casa mia della settimana prima; una roba che non userei neanche per lavare per terra.
Chiaramente siamo in ritardo per l'inizio del festival, ma questi sono puri e semplici dettagli.

Arriviamo, tra una cazzata e l'altra, a destinazione che sono le 8 passate, non prima di esserci fermati a Tempio per comprare qualcosa da bere: un bottiglione da due litri di vino bianco, simil Tavernello, che si rivelerà essere sorprendentemente gustoso.



La cofana di insalata di riso.


Prendiamo posto lungo gli spalti, mangiamo l'insalata di riso, ci finiamo i due litrozzi e ci godiamo il concerto di Charlie Musselwhite Band, un po' ciucchi e sorprendentemente stanchi. Finito il tutto, ascoltiamo un paio di pezzi del gruppo successivo, Sax Gordon Band, ma non gliela si fà e decidiamo di levare le tende.

Il luogo prescelto per dormire è Palau:


 


nella vecchia Fortezza di Capo d'Orso.



Tipo così.



Nel caso ve lo steste chiedendo, la fortezza è scavata nella roccia e quelle nella foto, in mancanza di altre migliori, sono solo le mura e/o edifici minori. La nostra destinazione era in alto. In cima.



Ecco, lì.


Il posto è splendido, ma completamente abbandonato e sinceramente non c'è nessuna voglia di esplorarlo all'una di notte.
Percorriamo quindi la ripida salita che ci porta pressappoco dove c'è l'entrata e ci troviamo di fronte ad una porta.
Murata.
«Alex ma questa roba l'altra volta non c'era!»
«Hoybò ecchessuccesso!» risponde lui.
Mi volto e in mezzo al corridoio esterno, c'è un gigantesco albero di fico che blocca completamente il passaggio. Di entrare dentro passando da una finestra non se ne parla, perchè è buio e vabbè essere incoscienti ma a tutto c'è un cazzo di limite, sopratutto perchè c'è una paura fottuta di entrare.
«Anvedi aò, che posto fico!» esclama Celestino.
«Da paura!» risponde Attilio. (Sì, sono amici romani, nel caso vi fosse sorto il dubbio)
Inizio ad essere preoccupato, perché l'alternativa all'entrare dentro la fortezza del Barone Ashura a notte fonda (l'ultima volta che ci siamo stati, abbiamo scoperto che ci facevano messe sataniche) sarebbe dormire nelle catapecchie ai piedi della collina, che non hanno tetto ne, effettivamente, pavimento.
«Massicuramente c'è il passaggio» dice Alex.
«Eddove minchia è?» chiedo, con la vena che inizia a pulsarmi sulla tempia.
«Ecco vedi, questa è proprio una bella domanda».
«Ammazza aò»
«Che tajo»

Inizia ad essere tardi e visto che l'entrata non si trova, urgono rimedi drastici: SI SCALA UNA COLLINETTA COPERTA DI ROVI PER PASSARE DALL'ALTRA PARTE, SU UN PONTE.
Ponte, oddio. Due sbarre di acciaio arrugginito, incastrate fra le mura della fortezza.

La scalata è sorprendentemente semplice, nonostante ci sia gente che non fa ginnastica dal liceo (me) o è palesemente in imbarazzo con qualsiasi attività sportiva (gli altri), non fosse che una volta scalato il dosso, ci troviamo in mezzo ad una distesa di rovi taglientissimi; noi chiaramente indossiamo tutti i bermuda, quindi le simpatiche pianticelle ci scorticano allegramente le gambe, neanche fosse una delle trappole di Saw L'enigmista.
Alex a un certo punto decide che gli puzza la vita, inciampa e perde una scarpa; vorrebbe anche cadere giù per quei tre-quattro metri, sul duro cemento del terreno, ma fortunosamente si aggrappa ad un arbusto e finisce giusto completamente in mezzo ai rovi, scorticandosi ulteriormente.
Superiamo agilmente, come solo un branco di bradipi ubriachi può fare, le due travi arrugginite che fanno da ponticello e finalmente arriviamo in cima. Chiaramente non si vede un cazzo, ma per fortuna abbiamo le pile.



Tipo così, però di notte.


Cerchiamo un posto per passare la notte, dove non soffi necessariamente il vento assassino che c'è qui in cima, trovandolo in una delle vecchie postazioni per i cannoni della fortezza, un cerchio in pietra senza soffitto, con alcuni vecchi bulloni incastrati nel pavimento cementato.
Sistemiamo, chi i sacchi a pelo (i due romani), chi due semplici teli da mare (io e Alex) e il campo zingari è approntato. Io non ho felpa, essendomela dimenticata chiaramente nella fretta di fare lo zaino; ho recuperato un giacchetto primaverile bianco dal portabagagli dell'auto di Alex, diosolosa da quanto tempo era lì e entrambi dividiamo una coperta che sta iniziando a dotarsi autocoscienza, visto che, da che ricordo, è sempre stata dentro quel portabagagli dove risiedeva anche il giacchetto.



Il campo zingari.


Il cemento è duro, io appena appoggio la testa allo zaino (che ha la stessa morbidezza e spigolosità di un sacco di mattoni), inizio a russare come un mammalucco, ma tempo un'ora sono sveglio.
Provo a riaddormentarmi, ma c'è gente che russa. Riesco a riprendere sonno, ma s'alza il vento e c'ho un freddo fottuto perchè Alex si frega tutta la coperta.
Recupero la coperta, chiudo gli occhi e uno stormo di B52, in formato zanzara, inizia a pasteggiare col mio sangue. In un rosario di bestemmie che avrebbe fatto impallidire satana, infilo la testa sotto la coperta puzzolente, cerco di coprire tutti i pertugi e chiudo nuovamente gli occhi. Quando sento il ronzio di una di quelle fottute bestiaccie, passarmi accanto all'orecchio che è poggiato sul braccio (dormo di fianco, sì), sopra lo zaino, decido che, porca puttana, stanotte non è aria.
Guardo l'ora: le quattro del mattino.
Ho dormito la bellezza di due ore, non consecutive.
Mi alzo, prendo la pila e inizio ad esplorare i dintorni. Io sono un tipo abbastanza impressionabile, in genere, ma vuoi per l'ora, vuoi per il sonno, vuoi che eravamo all'aperto, vuoi che conoscevo già il posto, alla fine la passeggiata si rivela piacevole senza essere spaventella come mi sarei aspettato. Scopro anche che l'entrata che avevamo bellamente evitato, per giocare a fare i novelli Messner fra i rovi, era a circa 10 metri di distanza da dove abbiamo iniziato la scalata.
Si fanno le cinque e inizia ad albeggiare. Gli altri si svegliano e assieme ci godiamo una bella alba mentre ci pisciamo un po' dal freddo.
È tutto molto romantico.



Romantico.


Non appena il sole sorge, dismettiamo il campo zingari (mancavano solo le carcasse di qualche automobile, ma se fossimo rimasti qualche ora, sono convinto che si sarebbero materializzate pure quelle) e portiamo all'esplorazione gli amici romani fra i corridoi della Fortezza di Capo D'Orso.
Verso le sei scendiamo da Capo D'Orso, alla ricerca di un bar dove fare colazione, che incidentalmente si trova a circa trenta metri da dove abbiamo parcheggiato. Caffè, cornetto.
Si entra in bagno per darsi una rinfrescata ed io sono l'ultimo.
Scopro con orrore che c'è una puzza che farebbe impallidire un autospurgo e vengo poi a scoprire che quello prima di me ci aveva cacato.
Scappiamo dal bar prima che la puzza infetti tutto il locale e ci dirigiamo alla spiaggia.



La spiaggia di Capriccioli, è un ridente fazzoletto di sabbia e scogli tra Porto Cervo e Porto Rotondo, una delle calette più belle della zona, noto luogo di ritrovo per vacanzieri ricchi.














Capriccioli alle 8 del mattino Capriccioli alle 10 del mattino



Noi ci presentiamo lì che sono le otto del mattino, stanchi, sporchi e assonnati e la prima cosa che facciamo è occupare un quadrato di spiaggia che è praticamente il collegamento fra la parte ovest e quella est, impedendo, di fatto, il passaggio.
Ci rendiamo conto di ciò, non appena i simpatici senegalesi che vendono palloni, passano letteralmente facendo lo slalom fra i nostri asciugamani.
Decidiamo quindi di spostarci in un'altra zona.
Una volta ricalato l'asciugamano sulla spiaggia, che mi rendo conto in quel momento essere sporco di terra e fango dalla notte prima, la prima cosa che faccio è sdraiarmi e dormire, ora che l'aria è fresca e il sole non picchia come un wrestler professionista.
Riesco a strappare un'ora di sonno, prima che il caldo mi svegli ed è quindi d'uopo lanciarci in acqua.
L'unica cosa che noto di questa spiaggia, a parte che è bellissima, è che prevalentemente è popolata da vecchi o racchie che parlano in milanese. Una famiglia napoletana, con tanto di gerarca che ha la maglietta "I'm from Scampia" (true story), è a suo agio lì più o meno quanto noi. E mentre Io, Attilio e Alex cerchiamo qualcosa da fare, visto che di fighe da sguardonare manco a parlarne, Celestino fa amicizia con uno dei senegalesi e sparisce nella pineta dietro di noi. Non sapremo mai cosa ha realmente combinato lì dietro e, per mantenere intatta la nostra sanità mentale, non chiediamo nulla.
Il parcheggio è pagato fino alle undici, quindi verso mezzogiorno meno qualcosa, raccattiamo i nostri stracci, Celestino saluta il senegalese e siamo pronti per ripartire.
Destinazione: Porto Cervo. Missione: trovare un posto dove poter mangiare.
Dopo aver bighellonato per un po', riusciamo a trovare un parcheggio con un albero solitario che può darci un po' d'ombra; è l'una del pomeriggio, il sole è arrabbiato e pesta come un lottatore di MMA a cui hai dato dello stronzo e noi siamo seduti attorno a questo albero triste in cerca di ombra, a mangiare insalata di riso fatta il giorno prima e lasciata macerare dentro il portabagagli; Celestino e Attilio hanno la brillante idea di svuotarci dentro un intero tubetto di maionese, rendendola, di fatto immangiabile.
Finiamo quindi il lauto pasto e decidiamo cosa fare. Sono le due del pomeriggio e il caldo asfissiante non accenna a calare; l'unica cosa sensata da fare è dunque parcheggiare l'auto ed entrare a Porto Cervo per fare una passeggiata.

La prima cosa che ci colpisce, a parte il caldo assassino, è che non c'è l'ombra di una cartaccia per strada. La seconda, appena arrivati al porto, è il concessionario Rolls Royce, con tanto di due Rolls parcheggiate fuori, in esposizione e targate GB. Così, lo schiaffo alla povertà.
Lo yatch più piccolo ormeggiato è un dodici metri, la gente qui è composta da ricchi vestiti con Vuitton e Prada, ma indossati casual, che usano come abbigliamento da mare. Le donne ricche sono tutte fighe stellari, i troioni dell'est, con uno spacco di gambe che da solo è un metro e mezzo e i vestitini provocanti che ne risaltano le forme all'una del pomeriggio sono una realtà. Ragazzi con il Panama in testa, sicuramente firmato, la camicia Ralph Lauren e i mocassini blue scuro con i risvolti ocra, sembrano camminare e lasciare impronte d'oro dietro di sé.
Io mi guardo: ho gli stinchi completamente scarciofati dalla gita in mezzo ai rovi della notte prima, un paio di adidas bucate in due punti, con la suola che si sta staccando lungo tutto il lato interno e la parte superiore del tallone smangiucchiuata dai cani; una maglietta dei Simpson bucata sul d'avanti e dei bermuda militari che mi cadono perchè ho lasciato la cinghia a casa.
Alex sfoggia una canotta nera sudata dal collo in giù, braccia e gambe completamente sfigurate dopo la caduta sui rovi, il costume da bagno e un paio di scarpe strappate di dosso a uno zingaro.
Celestino indossa una maglietta grigio topo macchiata sul davanti di solodiosacosa, un costume da bagno modello bermuda a righe scolorite e delle scarpe sporche di terra.
L'unico vagamente presentabile è Attilio, con la sua canotta bianca semi immacolata, la paglietta in testa e il costume dai colori sobri.
Tutti noi, chiaramente, siamo sporchi di sabbia, salsedine e siamo sudati come le palle di un cammello.

La nostra presenza lì, spicca come uno stronzo sopra un divano bianco.

Celestino fa amicizia con due vecchie francesi che gli chiedono una foto (fotograferà un tre quarti con tanto cielo e un gabbiano di passaggio, tagliando i volti delle vecchie), noi girelliamo per negozi Prada, Ralph Lauren e Dolce & Gabbana.
Al porto c'è una esposizione di macchine operaie: una Bugatti Veyron (valore di listino 2 milioni di euro) fa bella mostra di sé, mentre poco più avanti una sfilza di Maserati di varie tipologie sono bellamente allineate sulla banchina (valore di listino: dai 100 ai 250 mila euro).
Noi si ride e si scherza, dicendo che manca il gancio traino per attaccarci la rulotte, provocando l'ilarità generale, mentre gli omini della sicurezza ci guardano malissimo.
 












Utilitarie per operai della Breda.

Scopriamo con nostra sopresa che a Porto Cervo è presente un SISA (una catena di supermercati sarda), una roba che mai mi sarei aspettato di trovare lì. Anche i ricchi fanno la spesa.
Decidiamo di entrare.
Mediamente, i prezzi sono il doppio rispetto a quelli di casa mia (che sono già abbastanza alti di loro). L'occhio cade su un acquario, dove sono presenti delle aragoste vive e degli astici, al modico prezzo di 159 euro al kg, cento euro in più rispetto ad Alghero.



Le aragoste proletarie.


L'unica cosa dal prezzo umano, qui dentro, è la coca cola, ma giusto perchè c'è il prezzo imposto marchiato a fuoco sull'etichetta, 1,89. La prendiamo fresca e per un momento temo che il sovrapprezzo sia di cinque euro, ma alla fine son solo pochi spicci. Usciamo, ammirando degli splendidi tappeti che costano dai 400 ai 600 euro, che li ho visti uguali identici dai senegalesi la mattina, in spiaggia, a un decimo del prezzo.

Sono le tre, il giro per Porto Cervo è finito e a noi non resta altro che risalire in macchina e fiondarci nuovamente in spiaggia.
Alex è alla ricerca di un posto nei ditorni chiamato Piccolo Pevero, una caletta rinomata per la sabbia bianchissima e l'acqua cristallina, ma il simpatico navigatore vorrebbe farci passare dentro una mulattiera con tanto di sbarra d'acciaio calata, un po' come i posti di blocco dei nazisti durante la seconda guerra mondiale.
Decidiamo di rinunciare e prendere una strada a caso. Dopotutto lì è pieno di calette.
Arriviamo in un posto che il simpatico parcheggino ci dice chiamarsi "Spiaggia del Principe" e cerchiamo parcheggio, trovandolo praticamente in mezzo alla strada a un paio di km di distanza.
Sotto il sole cocente ci mettiamo in marcia, arrivando a suddetta spiaggia, che scopriamo essere la versione proletaria di quella visitata quella mattina: ressa, tope, leggermente sporca (ma siamo sempre a Porto Cervo, non è che ci fossero carcasse di lavatrici buttate fra gli scogli), ma molto bella.
Ci ficchiamo in acqua senza tanti complimenti e bene così.
Verso le sei ci mettiamo nuovamente in marcia: l'idea sarebbe quella di trovare delle doccie per lavarci di dosso la sporcizia ed il sudore, cambiarci, e andare alla seconda serata dell'Aglientu Blues Festival.
Scambiando due parole col parcheggino, scopriamo che c'è un posto dove potremmo lavarci, ed è praticamente affianco a Capriccioli.
Torniamo nuovamente lì, paghiamo quei due euro e ci ficchiamo sotto la doccia (fredda), passandoci un bagnoschiuma comprato alla Lidl durante il tragitto, che dal colore e dall'odore, poteva benissimo essere detersivo per i piatti. Tutti tranne Celestino, che decide che l'acqua gli fa schifo e non vuole lavarsi (la scusa è che non ha il cambio).
Siamo rinati. 
Io metto sù la maglietta pulita (una t-shirt nera sfibrata, con la scritta "Sex Drugs & Rock n' Roll") e siamo di nuovo in pista.
Ci fermiamo nuovamente a Tempio, alla ricerca di un supermercato dove poter comprare qualcosa per la cena e troviamo un Eurospin che fa al caso nostro. Panini, affettato e maionese. Grand Gourmet.
Verso le otto torniamo ad Aglientu, con una bottiglia di simil prosecco dell'Eurospin e, puliti e pettinati, attendiamo l'avvio del secondo concerto, seduti in prima fila.
Alex e Attilio hanno sonno e vanno in auto a dormire con la raccomandazione di svegliarli non appena s'inizia. A me viene il cacatone, ma il cesso è impraticabile. Mi imbosco quindi dietro la colonna di un palazzo dalle ampie vetrate, forse un convento o una cosa del genere, comunque abitato e faccio quello che devo, temendo di essere visto, cosa che comunque non succede.


Il concerto inizia: BB & The Blues Shacks sono sul palco ed è subito festa. Alex e Attilio si perdono i primi due pezzi, ma ci raggiungono, mentre notiamo una tizia che già dal giorno prima avevamo intravisto: la versione femminile di Billy Ballo che, non appena sente un po' di musica, inizia, appunto a ballare. Da sola.
Noi la guardiamo pensando che la legge Basaglia abbia fatto davvero troppi danni, da quando è entrata in vigore.
Stappiamo il vino, finendolo in dieci minuti e pentendoci di non averne preso altro: era una serata che avrebbe meritato più alcol.
Verso le undici BB & The Blues Shacks ci abbandonano, per lasciare spazio, alla Italy Blues All Star, una specie di selezione di Bluesman italiani, famosi in europa e nel mondo. Roberto Luti, Mike Sponza, Marco Pandolfi e Max Lazzarin si esibiscono tutti sullo stesso palco, andando sovente fuori scaletta e improvvisando brani come se piovessero.
Una gran bel concerto.



Sotto al palco con la giacchetta bianca che ho usato per dormire.


La gente era talmente infogata (e bevuta), che hanno chiesto prima un bis, poi un tris, poi hanno costretto il fonico a riattaccare la corrente per farli continuare a suonare. In definitiva, doveva finire all'una di notte e se ne sono andati che erano le due passate.
(Nota di colore: mentre Roberto Luti improvvisava un assolo dei suoi, una testa di cazzo pelata gridava "FACCI BALLARE", rovinando lo spettacolo a tutti. Bravo, coglione.)


È tempo di levare le tende. Saliamo in macchina e, mestamente, ci dirigiamo verso casa.
Verso le quattro Alex si ferma per far benzina.
«Oh ragazzi, che giorno è il 22?»
«Venerdì, perchè?»
«C'è Pino Scotto a Tottubella»

...And the story is neverending.

lunedì 18 agosto 2014

Il potere e l'idiozia della rete.

Riporto qui un bel post di RRobe, ovvero Roberto Recchioni, che tratta una vicenda dai contorni surreali. Lo faccio perchè anche io, nel mio piccolo, vorrei diffondere questa notizia, oltre che apprezzo e supporto Nebo ed il suo blog. Cosa comporta oggi il potere della rete e quanto un giornalista può essere davvero libero, in questo paese?



"Di come GQ Magazine si sia calata le braghe davanti a Barbie e abbia licenziato Nebo solo perché ha fatto quello che loro gli hanno detto di fare.


Rispolvero il blog per una questione che mi sta a cuore. Partiamo dall'inizio:

qualche giorno fa, Nebo (Nicolò Zuliani), quello dei Bagni Proeliator, ha pubblicato un pezzo sul portale della rivista GQ Italia-GQ Magazine all'interno della sezione Underground
Il pezzo verteva sul pestaggio della pornoattrice Christy Mack da parte del suo ex-fidanzato, un lottatore professionista.
Il pezzo era il seguente:

Il suo ex lamassacra, la pornostar Christy Mack mette le foto su Twitter. E fanno il giro del mondo
L’aveva trovata con un altro. E giù con il massacro. Per fortuna, mentre lui cercava un coltello, lei è riuscita a scappare

Quando la ragazza nuda e coperta di sangue bussa alla porta gridando “whalaglalarglaah” nessuno si scompone. E’ venerdì notte, è agosto e siamo a Los Angeles. Potrebbe essere una studentessa ubriaca, una zombie walk, una trovata pubblicitaria, una nuova strategia di marketing. La gente quindi continua a farsi i fatti propri. Alla sesta porta un tizio si sta masturbando davanti a Youporn quando sente urlare “whalaglalarglaah”. Preoccupato sia la buoncostume apre la tendina e vede la stessa donna su cui si stava forgiando il bicipite. Certo, potrebbe essere una nuova pubblicità progresso contro la pirateria audiovisiva, ma nel dubbio l’onanista apre la porta.

Un’ora prima siamo nell’appartamento di lei.

C’è un ospite. Entrambi sono vestiti e stanno chiacchierando del più e del meno quando la porta esplode in un vortice di botte. Tavolini, divano, tende, finestre, tutto viene divelto a mani nude. Il novello demone della Tasmania raggiunge l’ospite maschile triturandolo di cazzotti prima che abbia il tempo di capire chi, cosa, perché.

Gonfio di botte come una zecca viene quindi lanciato fuori dall’appartamento. E’ il turno della padrona di casa che è appena riuscita a dire “forse hanno bussato”. Viene afferrata, spogliata, lanciata in una doccia e lavata a ceffoni. Questa centrifuga di violenza in Dolby Surround dura così a lungo che l’aggressore si stanca, va in cucina lasciando la donna tramortita e fa ritorno con un coltello, apparentemente intenzionato a cambiarle pettinatura. Lei tenta qualche resistenza, lui si fa strada pugnalandole mani, orecchie e parete della doccia, perché in certi casi non puoi mai sapere. L’operazione di rasatura riesce ma il coltello si spezza. L’uomo non si perde d’animo: getta il manico dell’arma, ne afferra la lama e continua a minacciarla. Nel frattempo le ruba il cellulare e spacciandosi per lei manda messaggi a tutti i contatti dicendo che per la settimana non sarà reperibile. Terminata l’operazione l’uomo si spoglia annunciando le sue intenzioni tipo i cartoni giapponesi anni ’80: qui però invece di urlare “fulmine di Pegasus” grida “stupro imminente”. Non succede perché il pene non va su. Nella vita di ogni uomo ci sono cilecche umilianti, ma questa le batte tutte perché la donna martoriata sul pavimento è Christy Mack, 33 anni, diva di successo nell’industria del porno. Confuso per la mancata erezione l’uomo giunge all’unica conclusione logica: è colpa di lei. Certo, qualunque eterosessuale sulla Terra si trascinerebbe nudo su un tappeto di vetri rotti solo per poter sentire un peto di questa dea trasmesso da un walkie talkie, ma se il pene di mister Stupratron non funziona è colpa di lei. Si dirige quindi in cucina a caccia di un coltello più solido o comunque qualcosa di non moscio. E’ a questo punto che Christy, ormai ridotta ad hamburger, fugge. Il giorno dopo posta su Twitter le foto di com’è ridotta e la sua versione dei fatti.La versione di lui è più breve e concisa: “Volevo farle una sorpresa, aiutarla a prepararsi per lo show e darle l’anello di fidanzamento. E’ finita con me che lottavo per salvarmi la vita”, ha dichiarato sul suo profilo Twitter. Di sicuro la parte della sorpresa è riuscita, sulla legittima difesa invece bisogna riflettere. Lui si chiama Jonathan Koppenhaver, da tutti conosciuto con lo sbarazzino soprannome di “war machine”. Fa incontri di MMA, uno sport che consiste nel chiuderti in una gabbia a massacrarti di botte fermandoti un istante prima che t’ammazzino (cosa che non sempre accade). Figlio di un poliziotto infartato e di una madre tossica, adolescenza traumatica, espulso dal college perché menava la gente,Jonathan ha frequentato la galera un paio di volte perché, indovina indovinello, ha menato gente. Oggi ha 33 anni, 77 chili di soli muscoli, la faccia di un prosciutto, pesta gente di lavoro in qualunque lega professionale. Christy invece è unaex tatuatrice che pesa 48 chili. Difficile immaginare un conflitto fisico tra questi due con un finale diverso dal massacro uterino.
Jonathan comunque aggiunge che “i poliziotti non mi crederanno mai. Devo decidere cosa fare, alla fine ho solo il cuore spezzato”. Sì, Christy stando al referto medico ha 18 ossa del volto frantumate, il naso rotto in due punti, una costola fratturata, svariate emorragie interne, denti spezzati o mancanti e per il momento è cieca dall’occhio sinistro e non può camminare… Però sappiamo quanto un cuore spezzato faccia soffrire.
Dopotutto, lei si era anche tatuata sulla schiena “proprietà di War machine”. Non è che ti puoi tatuare una roba così e mollarlo, dopo.
A tutt’oggi questo portentoso esempio di uomo che sulla maglietta esibisce la scritta “faccio robe da maschio alfa” è latitante con una taglia di 10,000 dollari sulla testa. Citando “Pain and gain”, forse l’unica colpa di War machine è quella per cui non lo condanneranno: essere un povero coglione. Ma del resto se l’idiozia fosse un crimine l’America sarebbe un’unica, grande prigione.

Adesso, io di Nebo ho una grandissima stima come scrittore, ma i suoi pezzi scritti per la sezione "nera" di GQ, non mi hanno mai fatto impazzire e gliel'ho detto con il mio tradizionale tatto (risate registrate).
Mi sono sempre sembrati articoli privi della sua consuetà spontaneità e poco sentiti, come se Nebo fosse costretto a recitare la parte dell'hater volgare e provocatore per contratto e, sorpresa, avevo ragione.

Perché Nebo, come ho avuto modo di appurare in seguito, è stato tirato a bordo della ciurma di GQ con la richiesta esplicita di scrivere pezzi "pulp", sanguinolenti, di cattivo gusto, volgari, che suscitassero polemica.
Pezzi tosti per la sezione "tosta" (altre risate registrate)  di quel trionfo del  metro-sexual che è GQ.
Del resto, basta vedere l'header del blog di Nebo o leggere i suoi pezzi o il suo libro, per capire che è la persona adatta per un lavoro del genere.
Fatto sta che quello gli hanno chiesto e quello Nebo gli ha dato.
Fino a ieri.
Fino a quando, cioè, Nebo non è stato licenziato.

Perché?
Perché la Yotuber Barbie Xanax ha caricato un video in cui criticava molto aspramente il pezzo di Nebo, additandolo come offensivo per la vittima (dimostrando una certa mancanza di capacità elementari nella comprensione di un testo).
Adesso, sapete cosa succede qundo uno Youtuber da migliaia e migliaia si visualizzazioni si scaglia contro qualcuno?
Succede la Jihad, ecco quello che succede.
La redazione di GQ è stata invasa dai commenti moralisti dei follower di Barbie Xanax e il risultato è stato che il vice direttore di GQ ha fatto rimuovere il pezzo, ha preteso delle scusa formali e pubbliche da Nebo, e poi lo ha sospeso qualsiasi collaborazione con lui.
Per sempre.

Cosa c'è di sbagliato in questa storia?
L'intervento di Barbie Xanax?
No, quello ha solo delle implicazioni sociali spaventose, ma è del tutto lecito.
Ognuno ha il diritto a esprimere le sue opinioni, per quanto stupide o bigotte o prive di qualsiasi barlume di consapevolezza possano essere.
Ed è lecito pure che i follower di Barbie Xanax abbiano fatto quello che hanno fatto.
Anche questa cosa ha implicazioni sociali terrificanti ma, ripeto, è giusto ed è bello che ognuno abbia il diritto di aprire bocca e dimostrare la sua ignoranza.
Quello che, invece, è meno sensato, è che davanti allo scontento (ripeto: lecito) di taluni, un giornale si rifaccia sul giornalista.

Perché Nebo non ha pubblicato quel pezzo caricandolo da solo sui server del sito GQ.
Nebo quel pezzo lo ha scritto seguendo le liee guida che gli erano state date.
Nebo quel pezzo lo ha mandato a un capo redattore che lo ha letto, REVISIONATO e APPROVATO.
Quel capo redattore ha pubblicato quel pezzo con l'avallo del vice direttore della rivista cartacea che è pure il direttore del sito.
E quel vice direttore opera sulla base della fiducia di un direttore responsabile.

Si chiama proprio così: direttore RESPONSABILE.
E scondo voi cosa significa quella parola tutta in maiuscolo?
Significa che dopo che un pezzo è stato approvato e pubblicato, i cazzi sono i suoi, non del giornalista.
Perché gli editori hanno uffici legali appositi proprio per tutelare i loro giornalisti.
Ma visto che le cause legali costano, spetta al direttore responsabile decidere cosa può essere pubblicato, cosa no, e per cosa vale la pena correre il rischio.
Se arriva qualche grana, è il vice direttore e il direttore che ne devono rispondere. E, in ultima istanza, l'ufficio legale dell'editore (e l'editore stesso, se le cose vanno proprio male).
Adesso mipiacerebbe tancor che qualcuno mi spiegasse:

A) che razza di rivista è quella che si fa intimidere da una youtuber e dal suo pubblico, fino ad arrivare al punto di rimuovere un articolo e licenziare chi lo ha scritto?

B) a che serve un capo redattore, un vice direttore e un direttore, se poi nessuno si prende la responsabilità di cosa esce sul giornale?

C) Che razza di editore è quello che  non solo non difende le sue scelte editoriali, ma getta ai pesci un suo collaboratore per aver scritto ESATTAMENTE i pezzi che gli ha chiesto di scrivere, costringendolo pure a pubblicare scuse pubbliche?

Sono tre domande interessanti a cui mi piacerebbe che il signor Alessandro Scarano (giornalista presso l'edizione italiana di GQ.com, con responsabilità di coordinamento delle attività editoriali del sito), Carlo Annese (Vice direttore del mensile GQ, e RESPONSABILE del sito web e dell'iPad digital replica) e Carlo Antonelli (direttore del mensile) dessero una risposta.

p.s.
(a margine: ma quanto è invecchiata Barbie Xanax?!?)"



(FONTE: http://prontoallaresa.blogspot.it/2014/08/di-come-gq-magazine-si-sia-calata-le.html)



P.S. (mio): Triste constatare come la Xanax, una volta fattole notare come abbia sostanzialmente pisciato fuori dal vaso con questa faccenda, si sia prima barricata dietro rispostacce acide e poi sia puntualmente sbroccata, bannando me e altri dalla sua pagina Facebook e cancellando i commenti. Direi che certe azioni si commentano da sole.




 

lunedì 11 agosto 2014

La wovokata

Anni fa giocavo di ruolo on line.
Cioè, ci gioco ancora, ma anni fa interpretavo un personaggio chiamato Wovoka.
Mi piaceva Wovoka. Era una specie di sciamano barbaro, agghindato con una pelliccia d'orso sulle spalle ed era il curatore del gruppo.
Un giorno ci si ritrova su una nave, per ispezionarla. La nave è della marina reale, nessun cattivo in vista, solo che noi siamo lì per capire esattamente cosa stanno combinando qui sopra, visto che, a quanto pare, sperimentano un nuovo tipo di arma chiamata "Polvere". Ci accolgono degli inquietanti personaggi completamente bardati con pesanti abiti in pelle, che li ricoprono totalmente da capo a piedi, a mò di protezione e ci viene quindi spiegato che l'uso della polvere è altamente nocivo per l'organismo e sopratutto suscettibile a forze magiche, quindi è espressamente vietato eseguire magie.
Tenete bene in mente questo.
Il nostro gruppo continua ad ispezionare la nave fino a capitare nei laboratori; gli scienziate lì presenti non vogliono ovviamente farci entrare, visto che l'aria è satura di Polvere e sarebbe pericoloso; noi insistiamo ma loro sembrano irremovibili.
"Qui gatta ci cova" pensa Wovoka.
Ed è a quel punto esegue un incantesimo di Identificazione, per capire esattamente di cosa è composta questa polvere, questo mentre gli scienziati si erano quasi convinti a lasciarci entrare, opportunamente bardati e protetti.

L'esplosione è devastante. Sventra a metà la nave, ma per puro caso (e per bontà del master), non ci sono vittime. A parte ovviamente il nostro gruppo che era l'unico a non essere opportunamente protetto dagli effetti della polvere. Risultato: eravamo tutti stati infettati con una malattia che essenzialmente ci avrebbe risucchiato l'anima (e quindi ucciso) entro poche settimane.

Da allora, ogni volta che un personaggio esegue un'azione idiota come feci io con Wovoka, ignorando bellamente il master, è detta Wovocata.

Avanti veloce, ieri notte.

Da due settimane si parla di andare in Spring Breakers. Trattasi essenzialmente di prendere la macchina, me e i miei amici, e mettersi in viaggio per visitare luoghi abbandonati su e giù per la Sardegna. È un passatempo divertente.


 

















 
  Tipo così.
   


Qualche settimana fa ci viene L'IDEA: andiamo in Spring Breakers. Dove? Ma si dai torniamo al vecchio ospedale abbandonato di San Leonardo. Ma è un posto che abbiamo già visitato, testa. Non c'è problema, perchè ecco il colpo di genio: CI ANDIAMO DI NOTTE.
Wov sì, ottima pensata.
E quindi eccoci qui, pronti per l'ennesimo Spring Breaker, ma stavolta di notte, in un luogo abbandonato distante un'ora e mezza di auto.
COSA POTRA' MAI ACCADERE?
 















   
   Il percorso.  


Ci si prepara con due mezzi. Stavolta al posto delle solite quattro-cinque persone, siamo ben in dieci, anche se poi uno ci bidonerà la mattina stessa. Partenza fissata ore 19:00.
Io esco di casa una mezzoretta prima, faccio il pieno di gas, poi inizia il giro di raccolta. Iniziano a volare le prime stronzate, poi si fa la spesa (una cassa di birra e qualche tramezzino per il viaggio) e via che si va, mentre il cielo inizia ad imbrunire.















   
  L'inizio della tragedia.  


Arriviamo a San Leonardo che sono le 10 e la prima tappa è il bar del paese, chiaramente. Io esco dalla macchina e mi attardo per sistemare alcune birre nella borsa frigo.
Apro quindi il portabagagli, sistemo il tutto (ché le birre sono importanti), poi raggiungo gli altri a lato della strada.

Poi c'è quel momento.
Quel momento in cui ti stai perfettamente rendendo conto di cosa è successo, ma ancora non vuoi crederci.
Quel momento in cui REALIZZI.
In cui sbianchi, il cuore inizia a battere pesantemente nel petto, e la sudorazione si fa copiosa.
Quel momento.
Il momento della Wovocata.

"Andre cos'hai?" chiede un'amica, ingenua.

Io la guardo. Guardo tutti.
"Ho lasciato le chiavi della macchina dentro il portabagagli".

 















   
     

C'è chi sfotte, chi propone, chi sdrammatizza (in effetti questo no). Qualcuno butta lì di spaccare il vetro "che tanto hai la Casco, che ti frega", qualcun'altro di far forza sul finestrino che sicuramente s'abbasserà (credici).
Finiamo la birra si prova a forzare il finestrino ma niente.
"C'è solo una cosa da fare: andare a prendere le chiavi di riserva. A casa."
"Non puoi chiamare tipo tuo fratello e fartele portare?"
"Piuttosto che chiedere qualcosa a lui, me la faccio a piedi."

E quindi mi faccio prestare l'altra auto, stereo a palla, il mio amico P. che mi fa compagnia e via che si torna.
Tre ore di auto ininterrotte, quasi 500km di strada fatti in una sola sera, 30 euro di benzina buttati dentro il cesso: ecco come ho passato la serata.
E questo mentre gli altri, ovviamente si divertivano e si terrorizzavano durante la visita all'ospedale abbandonato.
 



















     
 I ghost hunters all'opera. Notate la mia assenza.  Oggetti inquietanti al buio che io non ho visto.  Scale che mettono una strizza che io non ho provato.    


 















     
Il letto con la rosa poggiata sul cuscino che mi sono perso. Ragni delle tenebre che io non ho visionato.  Altre cose inquietanti a cui non ho assistito.

 
Però dai, in fin dei conti è andata bene, tutto sommato: sono sicuro che gli altri si sono divertiti un botto.



lunedì 28 luglio 2014

Storie di ordinaria devastazione

Venerdì 25 luglio 2014, Mondo Ichnusa, ore 22:35, Marina di Torregrande, OR.

Mi arriva addosso il contenuto indefinito di una bottiglia, che spero sia vivamente birra o vino. Sperare nell'acqua serebbe un miracolo. Sul palco c'è Salmo, un rapper Olbiese che mi ha preso malissimo. Il mio amico, visibilmente ubriaco continua ad abbracciarmi perchè quando è così, vuole bene a tutti.
Attorno a me, circa trentamila persone. Cazzo.

Rewind.

Esco di casa alle quattro del pomeriggio, che c'è da andare a prendere A. e accompagnarlo dal meccanico, poi si prende l'altro A. e L., cui ho detto che sarei passato alle 16:30, preciso e puntuale. Ovviamente, arriviamo alle 17:30, con un'ora di ritardo.

Borsa frigo con le birre e un nostro beverone, e via che si va. Siamo in quattro in auto, sulla ia fida 500 che va a gas, per un peso totale che supera i 400 kg. Se l'auto non mi ha abbandonato quel giorno, confido che non lo farà mai più.
Il viaggio scorre tranquillo tra musica di merda (tipo la canzone del Campari, la Canzone del Piave e ROSVITA) e stronzate varie, a tipo 1 chilometro dalla meta mi scappa la piscia e mi fermo in una piazzuola, quando ovviamente stanno passando almeno cinquemila delle trentamila persone che poi ci saranno la notte. Sulle note di "Strapazzami di coccole", ci mettiamo a ballare mezzi ciucchi, tant'è che si ferma L. un nostro amico che ci ha riconosciuto da lontano mentre passava con la sua macchina lì di fronte.
Alla fine si riparte, si parcheggia affanculo perché ci sono troppe macchine e si va a mangiare uno di quei panini orribili dai chioschetti ambulanti, altresì detti "Caddozzo" e si inizia a bere l'intruglio magico, per l'occasione Rum & Cola della migliore annata Eurospin e ci si dirige più o meno sotto al palco.

Fast Foward.

Il grado di ubriachezza raggiunge livelli preoccupanti, quando i Subsonica fanno il loro ingresso. Ma alla fine i chilometri, la stanchezza, il viaggio, l'alcolismo, le zanzare fottutissime, sono valsi la pena, anche solo per ascoltare Tutti i miei Sbagli e sopratutto L'Odore.


E alla fine, tra gente che dormiva, gente che selfava la gente che dormiva, altre canzoni da auto un attimino migliori dell'andata, alle 4 del mattino siamo tornati sani e salvi a casa, soddisfatti ma tutti rotti dai salti che il concerto ci ha regalato. E a distanza di tre giorni, mi prudono ancora le punture delle zanzare atomiche che c'erano in quella cazzo di spiaggia-palude.


 


Sei il suono, le parole, di ogni certezza persa dentro il tuo odore.


 


 


BONUS, che per un mezzo secondo sono tornato noveenne:


 

lunedì 21 luglio 2014

[RECENSIONI] Gli inganni di Locke Lamora, di Scott Lynch

Lo so che il mio blog latita, ma è la triste realtà di un mezzo che utilizzo essenzialmente per parlare di un determinato argomento (la scrittura) e non, come facevo prima sul vecchio, di tutto quello che passa per la mia testa bacata.
Per dare un po' più di respiro a queste pagine quindi, inauguro una nuova rubrica, dedicata alla recensioni dei libri che ho letto. Nulla di orginale, già, però magari qualcuno è interessato, hai visto mai. Iniziamo dunque con quello che fu uno dei primi romanzi fantasy che abbia letto, ovvero Gli inganni di Locke Lamora.


 
































LA SCHEDA


Titolo: Gli inganni di Locke Lamora
Autore: Lynch Scott
Prezzo: € 19,60 (ma si trova scontato a meno di 10 euro)
Pubblicazione Italia: 2007
Pagine: 605, rilegato
Traduttore: Martini A.
Editore: Nord  (collana Narrativa Nord)



LA TRAMA
(Senza spoiler)


Locke Lamora è un ladro e con la sua banda, I Bastardi Galantuomini, compie abili furti (ma sarebbe meglio dire truffe), ai danni dei nobili della città di Camorr, un posto che è del tutto simile a Venezia, solo che Venezia non è un concentrato di criminalità come in questo romanzo (almeno non credo). Fin qui non ci sarebbe nulla di strano, non fosse che la Pace Segreta, un misterioso patto stipulato anni prima, impone ai ladri di non rubare ai nobili.
Durante una delle sue imprese, una truffa perpetrata a discapito di Don Lorenzo Salvara, Locke e i suoi sodali attireranno le attenzioni di uno strano individio, noto come il Re Grigio, una figura misteriosa che si è fatto notare del capo della malavita di Camorr, Barsavi, uccidendo alcuni suoi sodali.
Locke e i suoi si trovano quindi invischiati da una parte con il Re Grigio e dall'altra con Barsavi, che non tollererebbe affatto di sapere cosa sta combinando con i suoi. In mezzo, la truffa ai danni dei Salvara, il passato di Locke e un mago dell'alleanza.


 


COMMENTO


Cominciamo subito col dire che Gli inganni di Locke Lamora, non è il classico romanzo fantasy. Non ci sono principesse da salvare, mondi da ricostruire, mali da sconfiggere, eroi tutti d'un pezzo; c'è un ladro opportunista e amante del rischio, che vuole essenzialmente salvarsi la pelle e salvarla ai suoi. Di magia ce n'è ben poca, ma non stona con l'ambientazione creata, ed è più un romanzo picaresco che un fantasy. Locke e i suoi dicono parolacce, si prendono per il culo e usano le loro doti non certo per fare del bene. Non ci sono personaggi buoni, né personaggi cattivi: ognuno fa quello che deve fare, a volte compiendo atti di estrema crudeltà, a volte azioni altruistiche, ma nessuno (nemmeno il cattivo del romanzo), è monocorde.
Il libro è scorrevole, complice anche lo stile di Lynch semplice e diretto, proprio come i suoi personaggi.
Ogni tanto, preso dalla frenesia di raccontare, forse c'è qualche lungaggine di troppo, ma è ben poca cosa rispetto alla storia e a quei protagonisti così ben delineati.
L'originalità sta tutta qui: pur non stravolgendo i topoi del fantasy, come fa Abercrombie, Lynch riesce a reinterpretare il genere in modo tutto suo, lasciando fuori molti luoghi comuni a partire dal protagonista (non certo un eroe, non certo abile con la spada o nell'uccidere e non certo un mago) e costruendo una storia che riserva qualche colpo di scena mica male.
Cosa buona e giusta: pur essendo il primo libro di una saga, può essere letto tranquillamente come unicum in quanto la vicenda nasce e si esaurisce nell'arco di tutte le sue 600 pagine. Il che, è un gran pregio.
Io personalmente lo consiglio a chi voglia leggere un buon libro con una leggera venatura fantastica e sopratutto a quelle persone che il fantasy classico, quello coi draghi, i maghi e le spade che cagano, proprio non lo digeriscono.

VOTO: 8/10



SECONDA DI COPERTINA


Dicono che Locke Lamora non abbia rivali nei duelli. Dicono che sia alto, prestante e fascinoso. Dicono che la sua missione sia di rubare ai ricchi per dare ai poveri. Bè, si sbagliano. Piccolo di statura, deboluccio e un pò imbranato con la spada, Locke ha un unico punto di forza: nessuno lo può battere quanto ad astuzia e abilità truffaldina. E benché sia vero che ruba ai ricchi (e a chi, di grazia, dovrebbe rubare?) nessun povero ha mai visto un soldo bucato dei suoi furti. Tutto ciò su cui mette le mani lo tiene per sé e per i Bastardi Galantuomini, la sua banda, che ha come motto: "Vogliamo essere più furbi e più ricchi di tutti gli altri". A suo modo, Locke è il re di Camorr, una città che sembra nata dall'acqua, ornata di migliaia di ponti e di sontuosi palazzi barocchi e popolata da mercanti, soldati, accattoni e, ovviamente, ladri. In realtà, Camorr è il dominio di Capa Barsavi, perversa mente criminale, che da qualche tempo è impegnato in una lotta senza quartiere con il Re Grigio, altro personaggio decisamente poco raccomandabile. Impiccione per natura, Locke si ritrova suo malgrado in mezzo a questo scontro di titani e rischia di lasciarci le penne. Anche perché il suo misterioso passato nasconde un segreto che può mettere in pericolo l'intera nazione camorrana...

giovedì 17 luglio 2014

Filosofia spicciola

Ci sono quei libri che hai letto e di cui conservi un pessimo ricordo: scritti male, pesanti, noiosi e che mai e poi mai riprenderesti in mano, se non per farti volutamente del male e che a ripensarci ti chiedi: "Ma chi me l'ha fatto fare a leggere questa merda?"
Sono soprattutto insignificanti, dozzinali. Niente ti danno e niente ti lasciano, perchè sono uguali a migliaia di altri libri che non valgono neanche la carta su cui sono stampati.

Ci sono poi quei libri di cui conservi un generale buon ricordo, che magari non erano nulla di che ma col passare del tempo hanno acquisito una certa dose di nostalgia e quindi ci ripensi sempre con piacere; magari ogni tanto li sfogli per trovare citazioni o paragrafi che ti avevano colpito, ma che non rileggeresti mai per intero per paura di rovinarti il bel ricordo che hai di essi. Perchè si sa, la nostalgia è bastarda e quello che magari t'era piaciuto anni fa, ora ti annoia o ti deprime (basti pensare che da ragazzino ho adorato i film di Van Damme ma rivederne uno ora sarebbe, come dire, peggio che deludente).

Ci sono anche quei libri che iniziano benissimo, poi per una cosa o per l'altra s'introiano: la trama è troppo semplicistica (o troppo complicata) il protagonista fa delle azioni incomprensibili, succedono dei fatti che non hanno nessuna conseguenza logica e via dicendo. Magari pensi che siano dei gran bei libri, poi invece, verso la fine, ecco che succede qualcosa che non funziona come dovrebbe e tutto va in vacca, il finale fa cagare ed è tutto rovinato. E lo è così tanto che anche quello che c'era di bello all'inizio della lettura viene distrutto da un finale non all'altezza o comunque da una conclusione stupida, inutile ed a volte addirittura dannosa. Sono dei libri deludenti che forse con qualche cura in più, tipo una revisione dei testi o della trama, potevano essere qualcosa di stupendo ma che invece si sono rivelati una grossa fregatura.

Ci sono infine quei libri che hai adorato e di cui conservi uno splendido ricordo e che non ti stancheresti mai di riprendere in mano, rileggere, sfogliare, segnare le citazioni, studiare i paragrafi. Sono quei libri che ti segnano per la vita e che anche a distanza di anni ti dispiace averli conclusi. Quei libri che ti rimangono dentro e che ti insegnano qualcosa in più su te stesso o su quello che ti circonda. Son rari e bisogna centellinarli; e forse l'unica cosa di cui ti penti è che li hai finiti troppo in fretta. Perchè i bei libri finiscono sempre troppo presto. Sono quei libri che anche a rileggerli non perdono un grammo della loro forza, della loro bellezza, perchè sono dei capolavori. Ed anche quando finiscono, te ne porti dentro sempre un pezzo tatuato nel cuore.

E niente, i libri sono come le relazioni sentimentali e le relazioni sentimentali come i libri.

E ogni tanto ti diverti a toglierne uno dallo scaffale per vedere com'era, però, comunque, una capatina in libreria per vedere che c'è di nuovo la fai sempre, soprattutto quando non hai niente da leggere.

martedì 8 luglio 2014

Progetti futuri

In questo periodo, insolazioni a parte, sto lavorando a un nuovo libro. Non ho ancora iniziato a scrivere, ma ho quasi finito la scaletta che sì, questa volta non mi frega e la faccio prima di iniziare:P
Ho anche disegnato una mappa orribile ma funzionale, cioè questa: 



 


Che mi hanno già detto assomigliare ad una delle Okonomiyaki di Marrabbio (chi non sapesse di cosa sto parlando, non è nato/a negli anni '80).
Ho già alcune idee in mente e visto che ci sono ve le presento, magari mi date pure un parere, per quei pochi che sono rimasti.

La storia su svolgerà su un'isola, chiamata Saijuk, ovvero quella qui sopra; è un posto quasi completamente desertico, ma non per questo inabitato. I protagonisti si muoveranno per la maggior parte del tempo attraverso il deserto, incontrando carovane, strane creature e probabilmente anche qualche Jinn o Efreet, che sono i demoni propri della cultura mediorientale. Avete presente Aladino? Ecco, quelli sono Jinn; solo che in genere non esaudiscono desideri o, se lo fanno, cercheranno sempre di fregarvi nel peggior modo possibile. Non inserirò una mitologia classica come quella mediorientale da "Le mille e una notte" ma, piuttosto, una specie di rielaborazione, con giusto qualche rimando al mondo orientale, che ho sempre trovato molto affascinante. I personaggi principali saranno quattro, di cui una donna; fra di loro ci sarà un mago e un colonnello dell'esercito.
Posso dirvi che uno dei personaggi sicuramente si chiamera Sturn o Stunn, sempre per via del mio modo imbarazzante di scegliere i nomi.
Sulla magia ci sto lavorando, per tirare fuori qualcosa di vagamente originale; come in Scritto nel Sangue, la magia sarà qualcosa di limitato, con alcuni poteri ben definiti utilizzabili dal mago e servirà "qualcosa" per poterli utilizzare; niente palle di fuoco alla D&D, per intenderci. I maghi si chiameranno "Inkers". Mi piace che i maghi s'ingegnino per usare le loro doti e questa storia non farà eccezione.

Sarà chiaramente un fantasy, forse un po' più classico rispetto a Scritto nel Sangue; proprio in questi giorni sto pensando se inserire o no delle divinità e se si, come strutturarle. So certamente che ci sarà un inseguimento estenuante e non ci sarà nessun vero personaggio buono ma, piuttosto, persone che inseguono precisi obiettivi.

Anche in questo caso, sarà un libro singolo e anche se non posso ancora saperlo, ho l'impressione che potrebbe venir fuori più corposo del precedente; vedremo insomma. Penso potrebbe venir fuori qualcosa di carino.
E questo e tutto. Non credo pubblicherò altri capitoli di Scritto nel sangue, almeno non prima di 7-10 mesi; il motivo è semplice: mi hanno fatto notare che alle case editrici non piace che gli si mandino libri che sono stati già pubblicati da altre parti, foss'anche un blog. Quindi ecco la decisione: se entro tot tempo non riceverò alcun responso, metterò il libro qui e su altri canali in formato Ebook a pochi spicci (tipo 1,99€) e chi lo vuole, potrà prenderlo in tutta tranquillità. Magari riesco anche a pagarmi le sigarette e qualche caffè:D


Sul blog continuerò a postare, anche se altre cose; penso che qui vedranno la luce dei racconti che ogni tanto tiro fuori dal cappello. Vedremo insomma.
Alla prossima!

mercoledì 2 luglio 2014

Scritto nel Sangue - Capitolo 5

Scusate per l'attesa


 


Capitolo 5
Vent’anni prima.


Il dottore ordinò assoluto riposo. Fortunatamente non era in uno stadio così avanzato della malattia e si sarebbe ripreso perfettamente nel giro di un paio di settimane. In quei giorni Dog stette solamente a letto, con in testa molte domande e poche risposte.
Del gruppo iniziale, erano rimasti solo lui ed il monco; quest'ultimo pregò quasi in ginocchio la donna di tenerlo e quella, alla fine, si decise dopo aver constato che, nonostante il suo handicap, Vas poteva svolgere alcuni compiti come badare al ragazzo, tenere pulita la casa o preparare da mangiare con discreti risultati. Diceva di aver imparato a cucinare al fronte, dove la sbobba dell’esercito era a malapena masticabile e spesso i soldati dovevano ingegnarsi con quello che trovavano di commestibile, per mettere sotto i denti qualcosa che non sapesse di stivali ammuffiti.
Com’era prevedibile, vista la sua ferita, il portamento ed il modo di parlare, Vas era stato un soldato.
«Sono un reduce della guerra delle Pianure di Korr». aveva detto una sera, mentre preparava una zuppa che si rivelò essere piuttosto saporita.
«Dopo che ho perso il braccio, fui riformato dall’esercito ed ho preso a vagare qua e là in giro per l’Impero. All'epoca bevevo molto e giocavo forte; in breve tempo fui sommerso di debiti e fu allora che venni venduto come schiavo. All'inizio non accettavo la mia condizione, ma presto ho imparato cosa significa vivere sotto il giogo di qualcuno, ragazzo».
Dog lo ascoltava attentamente: il monco aveva un modo di fare che gliel'aveva reso immediatamente simpatico.
«Dopo il primo, ho cambiato un paio di padroni, uno peggiore dell’altro credimi, ma alla fine mi ha acquistato quel bastardo di Treznak; nessuno vuole uno schiavo menomato e per questo son rimasto con quel porco per sei lunghi mesi, prima di incontrarvi».
Rimase in silenzio, poi il suo volto si dischiuse in un sorriso. «Mi sento fortunato ad essere capitato qui con voi. Sono di nuovo libero ora e non vi ringrazierò mai abbastanza».

Vas era un uomo dalla facile parlantina e dopo qualche giorno, aveva già iniziato a narrare storie di guerra, sopratutto di quando aveva partecipato all’assalto nella Valle di Skoing.
La donna, pur non sembrando particolarmente interessata a quei racconti, non interrompeva mai quel flusso di parole quasi incessante. Sembrava come se non avesse avuto occasione di parlare di sé per molto tempo e ora che ne aveva la possibilità, era come un fiume in piena.

Ciò rendeva sopportabile quel periodo di degenza, che il ragazzo era costretto a subire in quelle settimane, steso com’era sul letto.

Appena Dog ebbe forze sufficienti per poter camminare si misero in viaggio: da Thiasi si spostarono a Rogan, evitando accuratamente le strade principali, le pattuglie di soldati e i posti di guardia. Sembrava fossero in fuga da qualcosa. La donna non disse mai nulla, parlava poco e per lo più dava ordini, che Vas eseguiva solerte.
In quelle settimane quasi non aveva rivolto parola a Dog, lasciandolo praticamente solo assieme al reduce e con la mente confusa da quella nuova e straniante situazione.

A Rogan si sistemarono in periferia, in una casetta molto rustica costruita con grosse assi di legno non dipinte. Era un'abitazione spartana con una sala di medie dimensioni arredata con un focolare al centro, un tavolo sul lato sinistro e alcuni sgabelli. In fondo, di fronte alla porta principale, c'erano due camere da letto, una un po' più grande dell'altra, entrambe con un materasso di paglia e lenzuola di tela.

Dog e Vas dormivano assieme nella stanza più grande mentre Tya, così si chiamava la donna, in quella piccola. Lei usciva sempre molto presto, spesso prima dell’alba, e tornava la sera molto tardi, assente praticamente ad ogni pasto, mentre Vas si occupava della cucina e della pulizia di casa.
Andò avanti così per una settimana finché una notte Dog si svegliò di soprassalto a causa di uno spiffero e trovò quella strana donna a fissarlo, seduta nel buio di fronte a lui. Sembrava che vedesse o cercasse di vedere qualcosa nel suo volto, tanto l’osservava attentamente; rimase qualche secondo a guardarlo senza dire nulla, continuando a scrutare il volto del bambino. Poi, così com’era entrata, andò via in silenzio, lasciandolo lì sul letto.

Il giorno dopo quello strano evento, appena sorto il sole, Tya andò a svegliare il bambino e lo portò nel cortile retrostante la casa.
Lo osservò severamente senza dir nulla, mentre quello si stropicciava gli occhi con il palmo della mano, ancora intontito dal sonno.

Con un movimento fulmineo, estrasse un coltello da dietro la schiena e lo ferì sullo zigomo, provocandogli un profondo taglio da cui iniziò a sgorgare del sangue. Fu un’azione talmente rapida che Dog si accorse di averla subita solo alla fine, vedendo la donna che rimetteva nel fodero la lama. Un rivolo di sangue gli colò sulla guancia; lui non avvertiva dolore e cercò di toccarsi la ferita, stranito da quello che gli era appena successo. Tya gli bloccò le braccia, prendendolo per le spalle con le mani.
«Fai attenzione ora, concentrati! Cosa senti?»
Effettivamente sentiva qualcosa.
Al di là del sonno, che andava oramai sparendo, e alla sensazione di smarrimento che provava per via delle azioni di quella strana donna, sentiva una sorta di calore nel petto, una specie di grosso peso sul cuore che si irradiava in tutto il corpo. Era come se qualcuno, d’un tratto, gli avesse posato un ginocchio sul torace e ci si fosse caricato con tutto il peso del corpo; non percepiva alcun dolore però: era come un grumo di strana energia che aspettava solo di essere usata.
«Io… sento qualcosa…» disse indicandosi il petto.
Tya lasciò la presa e si allontanò di un paio di passi.
«Sei davvero figlio di tua madre».
«Mia… madre?»
Lei annui.
«Anche tu come lei sei un ematista».
«Ema… che?»
«Ematista, ragazzo, ematista».


Fece una pausa, passandosi una mano fra i lunghi capelli ramati, mentre il ragazzo inarcò le sopracciglia , con fare interrogativo.
«Ho riflettuto in questi giorni » disse «e immagino di doverti dare qualche spiegazione, visto che io e te trascorreremo molto tempo insieme. Voglio che mi dica la verità: come si chiamavano i tuoi genitori?»
«Theron Aberan era il nome di mio padre, mentre mia mamma si chiamava Lysaren Mares… »
Tya non sembrò granché sorpresa ed annuì nel sentire quei nomi.
«Sei il figlio di Lysa, si. Ti ho riconosciuto subito, sai? Hai i suoi occhi, la forma del suo viso…»
«Tu conoscevi la mamma?»
«In un'altra vita io e tua madre eravamo… amiche, si».
Nessuno dei due aggiunse nulla e il bambino appariva più confuso che mai.
«Ma chi sei tu?»
«Io mi chiamo Tyiadam e sono… beh sono l’unica cosa vicina ad una famiglia che ti rimanga al mondo».
Dog sembrò soppesare quelle parole.
«Ma tu… Come conoscevi mia madre?»
Tya ci rifletté per qualche secondo, poi rispose: «Diciamo solo che io e lei siamo state molto... Vicine un sacco di tempo fa e questo è quanto».
Il ragazzino guardò la donna aspettandosi che continuasse il suo racconto, ma quella non aggiunse nient’altro.
«Prima hai detto che sono un ematista… Cosa vuol dire?»
«Un ematista è… Potere. Noi abbiamo il potere di fare…beh molte cose utili».
«Che tipo di cose?»
«Te lo mostrerò a tempo debito ma prima lascia che ti racconti una storia che ti chiarirà un po’ più le idee. Siediti pure » disse, indicando una panca che si trovava appoggiata al muro della casa.
«Immagino tu sappia che ora ti trovi a Rogan, una città dell’Impero Fulgido. Ebbene, circa cinquecento anni fa l’Impero non era ancora nato ed era formato da tanti staterelli sparsi, in continua lotta fra loro, un po’ come sono i regni di Alek ora.
Ci fu un uomo però che ad un certo punto, riunì tutti i clan della sua terra d’origine ed unificò il continente. Si chiamava Uthor il Magnifico, anche se di magnifico non aveva proprio un bel niente: era un uomo rozzo e sanguinario che si impose con la forza e con il massacro sugli altri regni, per poi diventare imperatore e governare su tutto e tutti. Si narra che le sue armate fossero inarrestabili e che i suoi guerrieri potessero fare cose che nessuno poteva nemmeno sognare».

Vas apparve sulla soglia di casa con un secchio: come tutte le mattine, andava a prendere l’acqua dal pozzo nel cortile della casa. Accortosi di quello che stava succedendo non disse una parola ma si sedette accanto a Dog per ascoltare anche lui il racconto della donna.

«Passarono alla storia come “Le Duemila Furie”, i guerrieri scelti di Uthor che lo aiutarono ad unificare il continente. Duemila guerrieri. Un po’ pochi per unificare un posto così grande, vero? Eppure fu proprio così, i resoconti sono piuttosto precisi in merito: con solo duemila guerrieri, Uthor conquistò un luogo enorme, molto più vasto dei regni di Alek. Qualcosa di vero doveva pur esserci in quelle storie, giusto?»
Il ragazzo annuì, perplesso.
«Quei guerrieri erano Ematisti. Riuscivano a fare cose impossibili per i normali esseri umani: si dice che fossero immuni a qualsiasi arma, che potessero muoversi dieci volte più veloci di un uomo, che potessero volare ed altre cose piuttosto fantasiose, tipo sputare fiamme dalle mani, lampi dagli occhi e via discorrendo. In realtà, come sempre accade, la gente ci ha ricamato un po’ sopra con il passare del tempo; però ti assicuro che alcune di quelle storie sono dannatamente vere: quegli uomini potevano davvero fare la maggior parte delle cose che raccontano le leggende. Ma come riuscirono questi barbari ad ottenere un così incredibile potere? Uthor mise assieme i più grandi alchimisti del tempo e quelli riuscirono a creare una pozione che trasformava gli uomini in ematisti. Dopo aver ottenuto il suo esercito, si premurò di massacrare tutti quelli che avevano partecipato alla scoperta, assicurandosi in questo modo che nessun altro potesse mettere le mani su quella pozione miracolosa. In realtà pare che la formula non fosse proprio perfetta ma per ora lasciamo da parte questo aspetto della vicenda. Vas, mi andresti a prendere gentilmente dell’acqua? Grazie».

Il soldato si alzò senza dire nulla e fece come gli era stato chiesto, tornando dopo pochi minuti con una brocca e alcune coppe; versò l’acqua in una di esse e la porse a Tya che bevve a piccoli sorsi per poi riprendere il suo racconto.

«Cosa successe una volta che il continente fu unito? Uthor assunse il potere con il sangue e la guerra, fondando l’Impero Fulgido, lasciando tutto al figlio e avviando l'attuale dinastia imperiale. Cosa successe invece alle Furie? Quello che succede ai soldati in genere: dopo aver seminato bastardi in ogni città conquistata durante l'unificazione del paese, tra stupri durante i saccheggi e puttane, finita la guerra, vennero premiati con terre, ricchezze e matrimoni importanti. Ebbero figli legittimi e poi morirono, come accade presto o tardi a tutti gli esseri umani. Quello che nessuno poteva immaginare, né gli alchimisti, né tantomeno Uthor, era che la pozione oltre ad avergli donato dei poteri straordinari, era penetrata così in profondità nei loro corpi, da mutarne la fisiologia.
Le Furie ebbero discendenza e i poteri si trasmisero ai figli, sia che fossero partoriti da contadine, sia da nobildonne, di generazione in generazione, diluendosi nel corso dei secoli fino ad arrivare ad oggi, a te. Toccati lo zigomo e controlla».

Dog fece come gli era stato detto e non sentì nulla di strano; anzi non sentì proprio niente: dove doveva esserci la ferita la pelle era liscia, nessuna traccia del taglio che la donna gli aveva provocato, nessuna ferita, nessuna cicatrice. Controllò le dita e notò che erano ancora sporche di sangue oramai secco, sicuramente un rimasuglio di quello che gli era colato dallo zigomo. Non solo: il senso di pesantezza sul petto era sparito.

«Esatto, sei guarito ed è tutto merito del tuo sangue: tu, come tua madre e come me, sei il discendente alla lontana di una di quelle duemila Furie che, spargendo il loro seme in giro per il continente, diffusero anche gli ematisti nel mondo».
La donna, vedendo il volto stupefatto di Dog, si concesse un sorriso:
«Dì la verità: non trovi che tutto questo sia assolutamente eccitante?»