sabato 14 giugno 2014

venerdì 13 giugno 2014

Scritto nel Sangue - Le mappe

Come promesso ieri, ecco a voi tutte le mappe di Scritto nel Sangue (click per ingrandire):


Questa è la mappa del mondo:
 



Ora che ci penso, non ho mai deciso come chiamare questo mondo.
Sono sempre stato abbastanza contrario alle saghe infinite, così diffuse nel fantasy, infatti Scritto nel Sangue è un romanzo autoconclusivo che difficilmente avrà un seguito; al massimo infilerò qualche personaggio qui e là, quando riprenderò in mano questa ambientazione, ma non come protagonista. L'idea era appunto utilizzare questo mondo, che secondo me offre davvero molte possibilità, con storie e protagonisti sempre diversi, in modo che siano comunque leggibili a sé stanti. Un po' come fa Pratchett con il suo Mondo Disco insomma.


 


 


 


 


Questa è Gholan, la città dove si svolgono gli avvenimenti:


 


L'origine del nome è, come quasi sempre mi accade, fonte di profondissimo imbarazzo.
Quando l'autrice mi consegnò questi disegni, non aveva assolutissimamente nessuna idea di come farli. Aveva giusto un bozzetto fatto da me medesimo sulla mappa del mondo fatto con paint e pace; s'è quindi dovuta inventare di sana pianta la città. Non appena iniziai a scrivere, basandomi poi sulla mappa, mi accorsi che era una città che mi sembrava conosciuta; l'autrice in effetti mi confermò che per disegnare Gholan, s'era ispirata a Genova e, nel romanzo, ci sono alcuni riferimenti alla città marinara, alcuni anche visibili qui. Dovrei decidermi a cambiare i numeretti, ora che ci penso, che sono orribili.


 


 


 


 


 


Thiasi e Hasar:


 


Siccome la mia disegnatrice di fiducia aveva tanto tempo da dedicarmi (<3 ), ha voluto disegnarmi altre due città, che nel romanzo vegono giusto nominate (Thiasi sicuramente, Hasar non ricordo assolutamente).
Penso che le utilizzerò, prima o poi, visto che sono comunque bellissime e mi servono luoghi dove ambientare le successive storie. Anche in questo caso, l'origine dei nomi è fonte per me d'imbarazzo: Hasar mi è venuto in mente perchè, per caso, cercavo foto di auto e mi è apparso il Generale Lee.
Thiasi invece, è la storpiatura di un paese delle mie parti, che ho sempre trovato delizioso, ovvero Thiesi.


 


 


 


 


E questo è quanto. Le mappe, ovviamente, ogni volta che le vedo, sono sempre splendide e non ringrazierò mai abbastanza la mia disegnatrice preferita per averle create con le sue manine.

giovedì 12 giugno 2014

Scritto nel Sangue - I Personaggi #2

Continuava a essere luglio, continuava a fare un caldo da scoppiare ed io avevo già scritto il prologo e il capitolo 2 (che poi divennero, rispettivamente: il capitolo 2 e capitolo 1, mentre il prologo definitivo lo scrissi poco più in là). Avevo le mappe, gentilmente disegnate da Serena, che non ringrazierò mai abbastanza (a proposito, mi sono appena accorto che non le ho messe per niente qui sul blog. Dovrò rimediare in questi giorni) e avevo iniziato a scrivere, senza nessuna idea di come dovesse essere la trama, l'ossatura della storia. Avevo un sistema magico e l'ambientazione, il protagonista e forse addirittura un finale, ma non sapevo nient'altro. Ho iniziato a scrivere completamente alla cieca, il che mi ha complicato le cose non poco, giunto al capitolo 10 o giù di lì.
Sentivo però che mancava qualcosa.
L'idea era quella di produrre un fantasy a suo modo originale, una specie di poliziesco e Dog si adattava perfettamente a quel ruolo. E cosa è sempre presente in un poliziesco? Il poliziotto, appunto. Ecco che l'idea prendeva forma: un fantasy in cui un poliziotto insegue un ladro per un crimine che non ha commesso.
Fu lì che nacque Vorat.
Non sto a dirvi come riuscii a scovare il nome (diciamo che la prima scelta non fu proprio felicissima), però ecco che l'ossatura prendeva forma. Vorat è la mia idea di poliziotto, nel mondo che ho ideato. Una persona preparata e decisamente cazzuta, che si muove in qualsiasi ambiente con scioltezza, forte del potere che ha alle spalle. L'aspetto di Vorat, decisi che doveva essere esattamente come quello di Idris Elba. Non so spiegare il motivo, so solo che l'attore mi piace ed è massiccio senza essere molto muscoloso, e ha l'aria cazzuta. Qualche settimana prima di iniziare a scrivere, rividi per l'ennesima volta Pacific Rim e il suo personaggio è quello che mi è rimasto più impresso. Non è un caso, fra parentesi, che ci sia una citazione proprio a quel film, in un punto non precisato del libro (mezza birra a chi indovina quale e dove).

Vorat è, in assoluto, il personaggio che mi ha dato più problemi. Mentre i capitoli di Dog si scrivevano quasi da soli, per il mio poliziotto ho fatto una fatica infernale e credo che i più attenti possano accorgersene. Le parti d’indagine, anche se all'occhio più smaliziato possono sembrare semplice, per me sono state toste, visto che non ho mai particolarmente trattato il genere poliziesco. Non che disdegni il genere, beninteso, però non ho mai letto molto e questa mancanza ha pesato in sede di scrittura. Tutte le parti d’indagine, sono frutto di una buona dose di culo e di accese discussioni con la mia beta reader, la quale mi faceva notare le peggiori stronzate che venivano fuori. Non è un caso se i capitoli di Vorat, siano stati quelli più rimaneggiati; ancora oggi, leggendoli, ho il timore di aver scritto stronzate galattiche, tanto sono ignorante in materia.
Qualcuno ora si chiederà: "Ma se non t’intendi di polizieschi, perché cazzo hai scritto un poliziesco?"
Bella domanda. La risposta è che non ne ho la più pallida idea.
La storia, come ho scritto sopra, non aveva una scaletta di eventi, né una traccia, né assolutamente nulla. Avevo giusto qualche vaga idea su come dovesse essere la storia, ma avevo tralasciato quella piccolezza che uno scrittore più esperto avrebbe invece considerato: lo sviluppo di una trama. La storia, mano mano che scrivevo, s'è creata da sé e questo è un dato di fatto. Posso dire abbastanza tranquillamente, che non mi ha dato molti problemi (anche se ogni tanto dovevo prendermi alcuni giorni di pausa per pensare a come incastrare tutti gli elementi che avevo in testa), ma è stata una fatica che avrei potuto risparmiarmi, se solo avessi avuto le idee più chiare. Per questo son partito con l'idea di scrivere un fantasy e ne è venuto fuori un mezzo poliziesco.
Per caso.

sabato 7 giugno 2014

Scritto nel Sangue - Capitolo 4

Capitolo 4
Vecchie conoscenze.


“La Luna nel Pozzo” era una locanda situata ai Pozzi, nei pressi del porto, noto luogo di ritrovo per chi volesse condurre affari di un certo, infimo, livello, mangiare della zuppa di pesce scadente, ubriacarsi come animali per poi rischiare di finire derubati e accoltellati da quelli, tra gli avventori, che non avrebbero esitato ad uccidere la propria madre per pochi spiccioli.
Era un locale ampio, fumoso e sporco, costituito da una sola grande sala a campata unica puntellata di travi, con il pavimento in legno e alcuni tavolacci scheggiati, dove i clienti si potevano accomodare. A lato, sulla destra, vi era un grosso bancone in muratura, con il ripiano reso opaco dall’uso e dalla sporcizia, dietro cui si trovava Jonas, il proprietario, che era intento in qualche faccenda che non avrebbe di certo migliorato l'aspetto della sua postazione.
Dog, si trovava seduto al bancone a sorseggiare un po’ di birra scadente e a tenere lontane le puttane che ogni tanto gli ronzavano attorno. Nonostante la sua giovane età e il suo aspetto non proprio minaccioso, aveva reso chiaro a tutti che voleva essere lasciato in pace: erano state sufficienti, la prima sera, due braccia spezzate e una testa fracassata nel muro, per far capire a quella marmaglia, che voleva godersi semplicemente la sua birra annacquata, senza essere infastidito.

Alla Luna nel Pozzo era una serata come tante: alcuni marinai decisamente ubriachi stavano facendo cagnara, cantando e ordinando alcool a ciclo continuo, ma a Dog non sfuggì lo sguardo di cupidigia di alcuni tagliagole in fondo alla sala, ogni volta che uno dei marinai metteva mano alla tasca, per pagarsi da bere. Non che la cosa gli importasse: erano stati loro a scegliere quel posto e se le facce da fame degli avventori, il fumo, la sporcizia e la puzza non li avevano fatti desistere dall’entrare beh… tanto peggio per loro, pensò.

Si aprì la porta principale e entrò un uomo: aveva la faccia come il cuoio, i capelli brizzolati, la barba incolta e gli occhi di un celeste tenue. Dal portamento e dalla spada che teneva al fianco sembrava un guerriero o comunque qualcuno che aveva ricevuto un addestramento alle armi; indossava una corazza di piastre in acciaio, una mantella nera e degli stivalacci di cuoio sporchi. Gli mancava un braccio, il sinistro, monco all’altezza del gomito.
Era un individuo che, vuoi per lo sguardo deciso, vuoi per la postura ed il modo di camminare, dava l’impressione di uno che non solo sapeva usare la spada che teneva nel fodero, ma anche che non si sarebbe fatto alcun problema a sventrare sul posto qualsiasi seccatore, nonostante la menomazione.

Si guardò attentamente attorno, individuò Dog seduto al bancone e si avvicinò a lui.

« Ce ne ho messo di tempo per trovarti, eh ragazzo?. »
« Ho sentito la puzza del tuo alito fetido da quando hai varcato quella porta, Vas » rispose Dog senza voltarsi.
L’uomo si dischiuse in un sorriso sincero, mentre Dog si alzava per abbracciarlo; a dispetto del volto altero e quella faccia tagliente come un rasoio, contro tutte le previsioni, era una persona facile alla risata.
« Come te la passi Dogson? Oramai sono passati cinque anni. »
« Me la cavo direi. Mi son stabilito qui e non sto poi tanto male. »
« Vedo, vedo. »
Continuando a sorridere, Vas si sedette lì accanto.
« Come mi hai trovato? »
« Non è stato difficile, quel lavoretto alla cantina portava decisamente la tua firma. Da lì in poi è stato tutto in discesa: conosco qualcuno in città che mi deve un mucchio di favori, è bastato fare le domande giuste alle persone giuste, usando i metodi più appropriati ed eccomi qua. Ho sentito tanto parlare di te, in questi giorni. »
Disse l’ultima frase con un abbozzo di scherno.
« Bah! Uno compie un paio di furtarelli ed ecco che la gente prende a chiamarlo nei modi più strani. »
Il sorriso dell’uomo s’ingrandì fino a scoppiare in una risata.
« Si, ragazzo, me l’hanno detto. »

Jonas si avvicinò per sapere cosa volessero ordinare e Vas chiese una birra.
« Che ci fai qui, Vas? O meglio: che vuole la vecchia da me? »
« Ti stupirà ragazzo, ma mi ha mandato qui per sapere che diamine di fine avessi fatto. Sei molto lontano da casa. »
« Non è certo una casualità che sia così lontano da casa, tu dovresti saperlo. »
L’uomo sorseggiò la sua birra ma non disse nulla.
« C’entri qualcosa con quello che ho sentito in giro? »
« A che ti riferisci? »
« Non certo a quello scantinato, avrai sicuramente avuto le tue buone ragioni. No, parlo di questo assassino che circola qui a Gholan. »
« Il Massacratore? Si, ne ho sentito parlare. Non è il mio stile, vecchio, dovresti saperlo. »
« Lo immaginavo, ma dovevo pur chiedertelo. Dopotutto con le lame ci sai fare, se ben ricordo. »
« Esatto Vas, sono bravo ad uccidere. Però sono un professionista, lo sai, non mi metto a fare certe cose, non senza un motivo almeno; e per quel che mi riguarda, non esiste una sola ragione al mondo per ridurre così un'altra persona. »
Vas fece un sorrisetto sardonico.
« Certo, sei un ladro e anche molto bravo, ma che talento sprecato! Avresti potuto fare qualsiasi cosa, anche trovarti un lavoro onesto che non comportasse alleggerire dei sudati guadagni il prossimo. »
« Non mi prendere per il culo, sai bene come stanno le cose. E comunque non sono sicuro che la megera sarebbe d’accordo con quello che dici; come diceva sempre: « “Un ladro non smette… »
« …al massimo si prende una pausa” » concluse l’uomo.
Alzò il boccale per fare un brindisi.
« A Tya: la cosa migliore che due bifolchi come noi potessero mai incrociare sulla loro strada. »
« A Tya, che i mortiferi possano trascinarsela all’inferno seduta stante. »
Si scolarono tutto il boccale d’un fiato e ordinarono un altro giro.
« Ancora non mi hai detto perché sei qui, vecchio. E non mi rifilare la stronzata che la megera è preoccupata perché è una cosa che puzza talmente tanto di merda da coprire il tanfo di questo pisciatoio. Parla, non mi trattare come un idiota. »
Il monco guardò Dog dritto negli occhi, poi ridacchiò.
« Non ti si può nascondere niente ragazzo! Hai ragione, sono qui per uno scopo: ho dovuto sbrigare alcuni affari per conto suo e sono venuto a sapere che anche tu eri in città. Diciamo che è stata una bella coincidenza che ti trovassi qui a Gholan. Lei ti vuole, Dogson, ha bisogno di te: c’è roba grossa in ballo. Non è scesa nei dettagli ma sai com’è fatta, no? Credo di conoscerla abbastanza bene per dire che qualcosa bolle in pentola e se ha bisogno del tuo aiuto dev’essere qualcosa di molto grosso. »
Dog finì il suo boccale e lo poggiò sul tavolo.
« Ora non posso vecchio, anche io ho i miei giri qui in città, alcuni affari in sospeso. Però puoi andare dalla tua padrona a riferire che appena mi libero, se il mio compenso sarà adeguato, potrei anche aiutarla con questo suo affare. Di più non posso certo prometterti. »
« Piccolo bastardello, ora avanzi pure delle pretese? »
« Come sempre Vas, come sempre. »
L’uomo bevve quello che restava nel suo boccale e si alzò dallo sgabello.
« Benissimo allora. Mi tratterrò qualche altra settimana, sperando che cambi idea. Nel frattempo non ti mettere nei casini, mi raccomando. »
« Una personcina ammodo come me? Giammai! »
Guardò il suo amico con un sorrisetto maligno sul volto.
« Difficile che cambi idea, vecchio. Certo, non si può mai dire; nel caso dove ti trovo? »
L’altro sghignazzò di gusto.
« Ma come, una persona brillante come te, ha bisogno di indicazioni precise? Vuoi anche che ti disegni una mappa, sia mai che ti perda? »
« Fottiti vecchio bastardo »
Scoppiò in una risata, mise qualche moneta sul bancone e poi se ne andò senza voltarsi indietro.

Dog l’osservò uscire, poi tornò al suo boccale vuoto, pensieroso.
Se dopo cinque anni Tya aveva bisogno di lui, il vecchio aveva ragione e c’era roba molto grossa all’orizzonte. Però qualcosa non quadrava: sicuramente Vas non gli stava dicendo tutto.
“Maledetto lui e quella megera” pensò con stizza.
Pagò le sue consumazioni ed uscì dalla locanda diretto verso casa; era già notte fonda e non era tempo di pensare a quello che tramavano quei due. Aveva bisogno di riposo: l’indomani sarebbe stata una lunga notte di lavoro e lui voleva essere al meglio, come sempre.
Erano tre mesi che progettava quel colpo e se le cose fossero andate secondo i piani avrebbe festeggiato come si conveniva e magari avrebbe invitato quel vecchio bastardo di Vas a far baldoria con lui.

lunedì 2 giugno 2014

Scritto nel Sangue - Capitolo 3

Capitolo 3
L’incaricato.


Il Capitano Acron rivoltò il cadavere come un sacco di patate, osservando accuratamente il corpo.
« Questo qui è morto con una pugnalata nel cuore, dopo aver preso una bella botta in testa. »
Lo disse a voce alta rivolto al suo vice Otill, con l’aria di chi ci ha capito ben poco.

Si grattò la barba trascurata da un paio di giorni, con aria perplessa.
Era proprio uno strano omicidio: cinque morti dentro uno scantinato, numerose ferite da arma da taglio sui corpi e praticamente nessun segno di lotta. Uno aveva al collo un monile, appartenuto al mercante Marass. Brutta storia quella dei Marass: un’intera famiglia massacrata per rubare qualche spicciols, fra cui una collana e pochi preziosi che il vecchio Asnar teneva dentro un baule per le emergenze, almeno così diceva la moglie scampata al massacro, perché fuori città.
Ora, in quella topaia puzzolente, c'erano cinque morti, nessuna arma del delitto e quel monile del mercante sul collo di uno degli uccisi.
Non poteva essere opera del Massacratore, lui sapeva bene che non era quello il suo modus operandi. Quindi cos’era successo realmente?

« Otill, secondo me si sono ammazzati per il bottino. Questi qui non avevano certo l’aria di essere delle persone perbene, sicuramente erano dei ladri. Guarda sul tavolo, ti pare roba che si può trovare in un posto come questo? No, no, secondo me si son messi a litigare e si sono ammazzati fra loro per questi pochi spiccioli. »

Otill scrollò le spalle, indifferente. « Se lo dice lei Capitano. »
Una terza voce s’intromise nel discorso.
« Io non credo sia così semplice. »
I due si voltarono verso il nuovo venuto. Era alto quasi due metri, imponente e massiccio. Aveva la pelle molto scura, quasi nera, i capelli corti e neri anch’essi; era ben rasato, ma con una striscia di baffi sotto il naso che andavano da un lato all’altro della bocca, il viso possedeva dei lineamenti decisi e lo sguardo era severo, con gli occhi di un azzurro spento, non certo comune nell’etnia Qaari. In effetti niente in quell'individuo era comune: indossava un uniforme reale, con delle mostrine che Acron non aveva mai visto e non portava nessun’arma con sé, almeno apparentemente.


 


Il nuovo venuto si avvicinò al corpo senza vita di Duk osservandolo attentamente, poi passò a quello di Frog.

« Osservate questo: ha una ferita nella nuca, come se gli avessero piantato un coltello in testa e ce l’avessero rigirato in qualche modo. Non è stato colto di sorpresa, vedete? Ha l’arma ancora in pugno. Tutti questi a parte il primo, avevano le armi in mano quando sono morti e dalla quantità di cicatrici sono sicuro che sapessero anche come usarle. » Indicò un altro cadavere. « Osservate questa: è stato sgozzato, certo, ma guardate bene il verso del taglio: è obliquo, dall’alto verso il basso, come se chi l’ha sgozzato stesse arrivando sopra di lui. »
L’uomo si guardò attorno e analizzò la scena.
« Secondo me è andata così: l’assassino ha fatto fuori il più pericoloso fra loro facendolo svenire con una botta in testa; si è poi rivolto prima a quello, conficcandogli il coltello nella nuca. Dopodiché ha saltato verso quest’altro e gli ha tagliato la gola. L’ultimo, vedendo il massacro appena avvenuto, ha pensato bene di darsela a gambe e s’è ritrovato con la lama nella schiena, lanciata dall’assassino. Infine, quando il resto della banda era morto, s’è occupato dell'ultimo: un colpo secco, alla nuca. Secondo me era il capo qui dentro. L’ha risparmiato, per chiedergli chissà che cosa e poi l’ha ammazzato, con calma, a sangue freddo. Guardate la posizione della ferita: anche lui non è stato certo colto di sorpresa, eppure s’è ritrovato una lama piantata nel collo, da dietro. Questa è sicuramente l’opera di un professionista. »
Acron e Otill si diedero un’occhiata fra loro, perplessi.
« Scusi ma voi chi sareste? »
L’imponente uomo si voltò verso il Capitano e il suo vice, allungando la mano.
« Mi perdoni, Capitano, non mi sono ancora presentato: sono Vorat Lanston, Capitano-Commissario del Corpo di Pubblica Sicurezza. »
Acron strabuzzò gli occhi: un Commissario! E non un semplice Commissario, ma addirittura un Capitano!
Quest’uomo arrivava talmente in alto nella scala gerarchica, da essere coperto di neve anche in estate.

« Ho letto i documenti da lei redatti nei giorni scorsi: direbbe che questa è opera di quello che chiamano “Il Massacratore di Gholan”? »
Acron scosse la testa.
« Non credo Commissario, non è questo il suo modo d’agire. »
Vorat annuì. « In base a quei rapporti, le scene dei delitti sono sempre all’aperto, senza alcuna goccia di sangue attorno ai corpi, benché i cadaveri siano martoriati. Qui invece è tutto piuttosto ordinato: colpi secchi e mortali, come se l’assassino non volesse perdere troppo tempo. Questa persona sa il fatto suo, Capitano, lasci che glielo dica. »
Acron soppesò quelle parole.
« Che cosa suggerisce di fare, Commissario? »
L’uomo si passò le mani sui fianchi dei pantaloni, come per pulirle.
« Controllate fra le loro conoscenze, ci sarà qualcuno che saprà cosa stavano combinando queste persone. Probabilmente hanno pestato i piedi a chi non dovevano e sono finiti con un coltello su per la nuca. Interrogate la vedova Marass, è possibile che abbia assoldato un assassino per vendicare la famiglia: non sarebbe poi così strano, sempre che si dispongano di fondi a sufficienza e dei giusti agganci. Quel monile, in effetti, potrebbe essere la chiave, anche se io non credo che lei c’entri qualcosa: a quanto ho capito non erano ricchi e le ultime cose di valore erano state rubate, presumibilmente da costoro. »
« Come fa a dirlo? » chiese Otill.
« Dal medaglione. Certo, è possibile che sia stato portato qui per incastrarli, ma chi si prenderebbe tanto disturbo? Uccidere cinque persone e mettergli quel medaglione al collo per dargli la colpa… Qualcosa non torna. Come procede l'indagine sul massacro della famiglia Marass? »
Acron strinse le labbra, a disagio.
« Ufficialmente il caso è irrisolto, Commissario. Ufficiosamente, si sussurra il nome di un individuo o una serie di individui che pare si facciano chiamare “Mezzanotte”. Pensiamo che sia una banda specializzata in furti di alto profilo, sulla scena non hanno mai lasciato alcun tipo di indizio, nessuna traccia, nulla di nulla. »
L’uomo si fece pensieroso.
« Capisco. » Proseguì Vorat « Quindi ogni furto di una certa importanza non risolto viene attribuito a questo Mezzanotte e finisce lì, è esatto? »
« Sì, Commissario. »
Vorat annuì.
Era una prassi comune in luoghi come quelli, dove delle semplici guardie, a volte fresche di nomina, dovevano occuparsi di delitti cittadini senza avere né le capacità, né l’esperienza necessaria. Le persone che sapevano fare il proprio mestiere, erano assegnate ai quartieri più ricchi, mentre i quartieri degradati rimanevano in balia di ufficiali incompetenti, corrotti o indolenti, che non avevano alcun interesse a consegnare i colpevoli alla giustizia del Re.

« Va bene. » disse il Commissario. « Il mio suggerimento è di mettere sotto torchio i vostri informatori, per scoprire chi fossero le vittime, catalogare accuratamente tutti gli oggetti presenti in questo scantinato, per scoprire se sono stati rubati e a chi e interrogare la vedova del mercante. Probabilmente lei non c’entra, ma meglio battere tutte le piste. Credo sia più probabile che il colpevole sia stata una banda rivale o comunque qualcuno a cui costoro hanno pestato i piedi. »
Diede un ultima occhiata alla stanza, poi scrollò le spalle.
« Direi che qui ho finito. Capitano permette due parole? In privato se non le spiace. »

Acron si inumidì con la lingua i bordi delle labbra.
“Quando un Commissario vuole sapere qualcosa da te, non è mai un buon segno” pensò preoccupato. In generale non era mai buon segno trovarsene uno davanti, men che meno uno che andava in giro a fare domande. Era un suo superiore però, non certo uno qualsiasi: si trovava di fronte ad una persona che poteva decidere arbitrariamente di giustiziarlo lì sul posto, se l’avesse ritenuto necessario. I Commissari di Sicurezza erano le dirette emanazioni del Re, la sua polizia personale; si occupavano di spionaggio, controspionaggio e di crimini contro il regno. Per via del delicato lavoro che svolgevano, veniva data loro carta bianca tramite salvacondotto reale: potevano realmente fare ciò che volevano e nessuno avrebbe mai neanche osato pensare di interferire. Erano uomini potenti con in mano un’autorità che rispondeva solamente e direttamente al Re.
Acron seguì l’altro fuori dallo scantinato, lungo il corridoio finendo per entrare in una stanzetta, forse una vecchia dispensa oramai in disuso. Chiuse la porta dietro di sé e si mise sull’attenti. Il Commissario infilò una mano in tasca togliendone fuori una monetina d’argento, che iniziò a rigirarsi fra le mani.

« Dunque Capitano » esordì Vorat. « Voglio parlare con lei in privato, perché ho sentito che è stato il primo ad arrivare sul luogo dov’è avvenuto l’ultimo omicidio del Massacratore di Gholan. È così che lo chiamate qui in città? »
« Sì, signore »
« Me ne parli. E la prego, non tralasci alcun dettaglio, per quanto possibile. »
“Dunque si tratta di questo” pensò Acron.
Si passò la lingua fra le labbra e iniziò il resoconto.