lunedì 25 maggio 2015

La burocrazia che ti può aiutare - Parte 2

[Parte 1]

È una ridente mattinata di aprile, fa un caldo bestia perché primavera non bussa ma entra sicura ed io son chiuso dentro la sala d'aspetto di un polveroso ufficio, facendo la fila al CAAF, dopo che ho preso appuntamento il giorno prima.
C’è poca gente per fortuna e tempo mezzora sono dentro. Mi accoglie una signora sulla quarantina che giudico “notevole”: capelli ricci neri e folti, un davanzale da quarta abbondante, jeans piuttosto attillati e t-shirt. Son lì che penso a come farmela sulla scrivania, dopo aver rovesciato tutto per terra, quando lei mi chiede cosa può fare per me.
Scanso i discorsi sessuali e le spiego cosa mi serve.
«E quindi niente, mi serve l’ISEEU del 2014.»
«Non del 2015?»
«No, no quello dell’anno scorso.»
*clickete*clickete*
La tipa batte sulla tastiera il mio nome. «Ah sì eccolo qua. Dunque, qui risulta che lei l’ha fatto…»
«Come ogni anno, sì.»
«Ecco. Solo che da febbraio 2015, in base alle nuove disposizioni ministeriali, non è più valido.»
«Ehm, cosa?»
La tipa, che scopro anche essere piuttosto simpatica, arrossisce (giuro) d’imbarazzo.
«Eh, sì. In pratica il governo Renzi ha cambiato tutto e deve rifarlo da zero.»
Ho la gola arida ed ho finito le bestemmie. Forse il suo arrossire era per non farmi pensare alla bestialità che ho appena sentito uscire dalle sue labbra.
«E quindi cosa devo fare?» riesco a mormorare dopo qualche minuto di silenzio esterrefatto, con ancora la vena che mi pulsa sulla fronte.
Lei caccia fuori un foglio e mi spiega la rava e la fava: c’è un elenco di tutto ciò che il governo richiede ai fini fiscali; dichiarazione dei redditi mia, dei miei, di mio fratello. Se abbiamo imbarcazioni. La targa di tutte le auto presenti in casa. Discendenza e albero genealogico fino alla quinta generazione.
Son lì che scorro l’elenco ancora basito, quando lei richiama la mia attenzione.
«E quindi mi deve portare tutta questa roba. Io immetto i dati nel pc e li invio al fisco e poi tocca aspettare la loro risposta.»
«E quanto ci mettono, quelli del fisco?» chiedo io che, visto come stanno andando le cose, mi aspetto il peggio.
«Due settimane» risponde lei, con la voce strozzata dall’imbarazzo. «Lavorative.»
Credevo di avere finito le bestemmie e invece la mia mente è una fucina di nuove invenzioni dialettiche.
«Questo vuol dire» dico io, pensando a torture e massacri che neppure la visione congiunta di Splatters, A Serbian Film e The Human Centipede 2 (che il primo era innocuo) potrebbe mai concepire. «Che mi toccherà pagare la mora.»
La donna quasi SPARISCE nella sedia.
«Non è tutto» pigola, da sotto la scrivania. «In base alle nuove regole, ora io le segno l’appuntamento, per poi prendere l’appuntamento VERO, per poi fare tutto ciò.»
Cerco di mantenere una sanità mentale, perché non ho davvero capito che cazzo ha detto.
«Scusi?»
«Sì ecco, vede…Ehm. In base alle nuove disposizioni ministeriali, noi abbiamo bisogno della delega per maneggiare questi dati sensibili.»
«Okay.»
«E quindi deve tornare qui con una carta d’identità, in modo che possa darci la delega. Una volta fatto le fisseremo un appuntamento per riuscire a fare l’ISEEU.»

La mia faccia esprime quel turbine di pensieri che non posso esprimere ad alta voce, pena l’arresto e l’internamento coatto in istituto psichiatrico.

«No ma dico, scherza?»
«Eh…»

E che devo fare.
Fisso l’appuntamento per il primo giorno disponibile (la settimana dopo) e me ne vado.
Passano i giorni e son di nuovo lì, fotocopia della carta d’identità alla mano. Ribecco al volo la stessa povera crista e in tempo record riesco a farmi fissare il vero appuntamento per poter fare sto benedetto ISEEU (un’altra settimana dopo).
Nel frattempo inizio a cercare, tra gli n-mila fogli che possediamo in casa, Cud vari, l’UNICO di mio fratello, foto alle targhe delle auto e cazzi e mazzi.
Passa pasqua, mi sbronzo e cerco di non pensare al carnaio che mi aspetta quando tornerò all’ufficio.
Mi presento in anticipo di un quarto d’ora con un faldone di documenti sotto il braccio che sembro un Testimone di Geova e scopro che in sala d’attesa ci sono venti (20) persone. Tutte che devono fare la dichiarazione dei redditi.
Età media 60.
Una vecchietta attacca bottone con me, che voglio solo superare un livello bastardo di One Finger Death Punch.
«Eh sa poi mio nipote anche lui doveva fare la dichiarazione dei redditi, solo che poi si è sbagliato ed ha compilato male un campo e le giuro eh giovanotto sono arrivati i carabinieri a casa e gli hanno controllato tutto, ma proprio tutto eh, questa gente non sa proprio cosa fare dalla mattina alla sera, sembrava dovessero arrestarlo da un momento all’altro, ma dico io…» si blocca, nota che io ho smesso di ascoltarla, ma questo non ferma il suo blaterare. «No perché poi deve sapere che mio figlio si è sposato con questa polacca e non le dico cosa ha dovuto fare per farle avere la cittadinanza, roba da non credere, pensi un po’! Sono stati assieme dieci anni, dico dieci, hanno fatto due figli poi si sono separati e lei è tornata in polonia, ma adesso vuole che i bambini vadano da lei, ma mio figlio non è che può lasciare il lavoro e partire così di punto in bianco perché poi il giudice ha detto che dovrebbero stare con la madre ed ha disposto l’affidamento congiunto però lei sta in polonia ed adesso non sa cosa fare…»

Se c’è un in inferno per le persone come me, io ci sono dentro.
Sento del trambusto a qualche metro da me: alzo gli occhi dal tablet e vedo un altro vecchio si sta lamentando a voce alta che ha preso l’appuntamento prima di pasqua, ma non hanno rispettato l’orario.
«Mi hanno detto alle 11 e sono le 11 e mezza! Ma non è possibile, sempre così!»
E via d’insulti.
Se la prende un po’ con tutti, anche con gente di altri uffici che passava lì per caso, che si trova di punto in bianco in mezzo ad turbine d’imprecazioni in algherese, molte delle quali non di mia conoscenza (e cui prendo scrupolosamente appunti) e che cerca di accampare scuse o semplicemente proferire parola tra un “Ammazzavus” e “Lus moltz chi t’acchipin”.
Alle 13, dopo che sono lì da due (2) fottutissime ore, tocca a me.
Rispunta fuori il milfone della settimana prima, cui oramai do del Tu perché tanto siamo entrati in confidenza.
Io do tutta la documentazione, lei inserisce i dati, li smandruppa un po’ e poi mi dice di richiamare fra un paio di settimane per vedere se il maledetto ISEEU è arrivato.
Tempo dell’operazione: dieci minuti.

Esco dall'ufficio, saluto i vecchi e corro via il più lontano possibile dall’edificio.


Continua.

Nessun commento:

Posta un commento